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Omicidio di Mico Geraci. Il figlio sentito alla corte d’assise di Palermo: «Vidi il killer sparare»

 «Sentimmo i colpi di pistola subito dopo che papà aveva citofonato e ci affacciammo io al terrazzo, mia madre alla finestra e vedemmo il killer sparare». È la drammatica deposizione di Giovanni Geraci, sentito come testimone davanti alla corte d’assise di Palermo 27 anni dopo l’omicidio del padre, il sindacalista Mico Geraci. Imputati i fratelli Pietro e Salvatore Rinella, capimafia di Trabia accusati di essere i mandanti del delitto, avvenuto l’8 ottobre del 1998, a Caccamo. Secondo gli inquirenti, che hanno risolto un caso per anni rimasto senza colpevoli, l’omicidio sarebbe stato commissionato dal boss Bernardo Provenzano. ù

Alle scorse udienze sono stati sentiti la vedova della vittime e un altro figlio, Giuseppe. Oggi è stata la volta del minore dei Geraci, che alla morte del padre aveva solo 16 anni, e poi di alcuni politici locali che il sindacalista avrebbe voluto coinvolgere in una lista civica che supportasse la sua candidatura alle comunali del ’99. La famiglia Geraci, oggi costituita parte civile con gli avvocati Giuseppe Crescimanno e Armando Sorrentino, ha per anni cercato la verità sul delitto chiedendo la riapertura dell’indagine archiviata due volte. Secondo le ricostruzioni dell’accusa, i boss temevano il sindacalista per il percorso di rinnovamento che voleva portare in paese, una realtà ritenuta la Svizzera di cosa nostra, fino ad allora luogo sicuro per i mafiosi. Geraci si era candidato a sindaco e, insieme a un altro gruppo di politici, aveva iniziato una campagna di sensibilizzazione verso i rischi di infiltrazioni mafiose.


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