«Stefano Lo Verso è un uomo che mente». Ne sono convinti i difensori di Ignazio Fontana e Giuseppe Comparetto, condannati all’ergastolo in primo grado per l’omicidio dell’imprenditore Andrea Cottone. La vittima, considerata l’ex boss di Villabate, scomparve il 13 novembre 2002. Per minare l’attendibilità di quello che è il test principale del processo, i legali prendono a prestito una frase della sentenza di assoluzione emessa a maggio nei confronti del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu, e oggi accolta come materiale documentale dal presidente di corte Fabio Marino. Deposito al quale il procuratore generale Sergio Barbieri si era opposto perché «si tratta di una sentenza non ancora definitiva, oltreché di un elemento non rilevante».
A parlare del coinvolgimento degli imputati, a dodici anni dalla sparizione, sono anche i pentiti Sergio Flamia di Bagheria, e Francesco Campanella e Mario Cusimano di Villabate. Quest’ultimo sarà risentito ad aprile. «Cruciale stabilire l’attendibilità dei collaboratori – spiega il presidente – Dispongo la riapertura del dibattimento». Ma il test chiave resta Lo Verso, che partecipa in prima persona: lui è testimone oculare della consegna di Cottone ai suoi assassini, nell’imboscata al ristorante-minigolf di Ficarazzi. Sarebbe stato proprio lui ad accompagnarlo all’appuntamento con la morte, ignaro del piano per ucciderlo. Sulla base, poi, delle altre dichiarazioni Cottone sarebbe stato strangolato con una cintura e poi sciolto nell’acido in un deposito di marmi a Bagheria. L’auto, invece, viene ritrovata due settimane dopo a Termini Imerese.
«Quelle di Lo Verso sono dichiarazioni su cose di cui non può essere a conoscenza e in disaccordo con quanto riferito da tutti gli altri pentiti», insistono i difensori, convinti che il collaboratore abbia semplicemente tentato di alleggerire la propria posizione e il proprio coinvolgimento nel delitto. Accolta oggi dal presidente Marino anche la sentenza con cui Comparetto il 23 gennaio è stato condannato dalla seconda sezione penale per associazione mafiosa: «Questo è importante – spiega il procuratore generale Barbieri – per dimostrare che la causale dell’omicidio di cui stiamo ancora discutendo è riconducibile all’interno di Cosa nostra». Secondo la ricostruzione dell’accusa, infatti, il delitto si inquadrerebbe all’interno di una guerra di mafia all’interno delle cosche, con il placet di Bernardo Provenzano. «Si stava allargando troppo, rompeva le scatole», raccontarono infatti i pentiti. Per l’omicidio Cottone sono stati condannati in abbreviato all’ergastolo anche Michele Rubino, Onofrio Morreale e Nicola Mandalà.
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