Riposto, il legale dell’omicida-suicida: «Nessun segnale. Era in permesso per buona condotta. L’ho chiamato io dalla caserma»

«Avvocato sto venendo, vengo io». Così Salvatore Turi La Motta avrebbe risposto al suo legale Antonio Cristofero Alessi che lo aveva chiamato dalla caserma dei carabinieri di Riposto mentre l’uomo – ergastolano in permesso premio – ritenuto responsabile di avere ammazzato almeno una delle due donne uccise a colpi di pistola ieri e che poi davanti a quella caserma si sarebbe tolto la vita, era ancora ricercato. L’avvocato si trovava nella caserma dei carabinieri della cittadina in provincia di Catania per seguire un altro caso. Sarebbero stati i militari a chiedergli di mettersi in contatto con il suo assistito per convincerlo a consegnarsi. «Ho chiamato La Motta utilizzando il vivavoce – ricostruisce il penalista – e gli ho detto di costituirsi ai carabinieri, di dirmi dove si trovava che potevamo andare a prenderlo e che poteva contare sulla mia presenza per l’immediata assistenza legale. Lui mi ha risposto: “Sto venendo, vengo io“. La Motta – aggiunge l’avvocato – è arrivato cinque minuti dopo. Aveva un’arma in mano e mi ha chiamato “Antonio”, con il mio primo nome. I carabinieri gli hanno intimato di posare la pistola, e poi ho sentito lo sparo». Il colpo con cui, davanti ai carabinieri e fuori dalla caserma, si sarebbe tolto la vita Turi La Motta. Il 63enne, fratello di Benedetto Benito La Motta che è ritenuto il rappresentante della famiglia di Cosa nostra dei Santapaola nel territorio di Riposto, è stato condannato all’ergastolo per associazione per delinquere di stampo mafioso e per gli omicidi di Leonardo Campo e Cosimo Torre.

Per l’uomo ieri era l’ultimo dei sette giorni di licenza premio e in serata sarebbe dovuto rientrare nel carcere di Augusta (in provincia di Siracusa) dove era detenuto in regime di semilibertà. Intorno alle 8.30, nella zona del porto della cittadina ionica, avrebbe sparato un colpo di pistola in testa uccidendo la 48enne Melina Marino, con cui avrebbe avuto una relazione sentimentale. Per questo delitto ieri è stato fermato anche un complice, il pregiudicato 55enne Luciano Valvo accusato di avere accompagnato in auto La Motta nel luogo dell’assassinio. La scena è stata ripresa da una telecamera di sorveglianza di un rifornimento di via Duca del Mare. Novanta minuti dopo, stessa dinamica e stessa arma, a un chilometro di distanza: la vittima è la 50enne Santa Castorina uccisa da un colpo al volto. Non è ancora chiaro agli inquirenti se anche questo secondo delitto sia stato compiuto da La Motta e nemmeno se e come i due fatti siano collegati tra loro. Ma le indagini continuano per ricostruire proprio questi aspetti. «Mai avrei immaginato – sottolinea l’avvocato Antonio Cristofero Alessi – che potesse accadere tutto questo. Era impensabile: non c’è stato nessun segnale pregresso, nessuno. Era un detenuto che aveva usufruito dei permessi di legge per buona condotta: lavorava a Riposto, prima in un panificio, poi in una rivendita di formaggi. Durante i due anni di Covid dormiva a casa della sua famiglia. Dal 3 gennaio, finita l’emergenza pandemica, rientrava la sera al carcere di Augusta, nel Siracusano». Il legale aggiunge anche che «conoscevo le due donne uccise, erano due care ragazze. Non mi ricordo di contatti tra loro o con La Motta. Lui non era sposato e non so se frequentasse qualcuna nello specifico, avevo capito che c’era una piccola storia in particolare, ma atteneva alla sua sfera privata e non al nostro rapporto professionale. Ma niente lasciava presagire minimante quello che è successo». Intanto, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha chiesto all’ispettorato generale di avviare urgenti accertamenti preliminari su quanto accaduto.


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