Ancora due mesi, salvo ulteriori proroghe, e la commissione d’accesso sulle infiltrazioni mafiose, inviata dal prefetto Claudio Sammartino, avrà terminato il suo lavoro a Maniace. Tra gli scenari da tenere in considerazione anche un poco invidiabile primato che porterebbe il piccolo municipio dei Nebrodi a essere il Comune più giovane della provincia di Catania a essere sciolto per le infiltrazioni di Cosa nostra. Un finale amaro che il sindaco Nino Cantali vorrebbe scongiurare, anche considerata la tornata elettorale che dovrebbe chiamare alle urne la piccola comunità nella prossima primavera. «Io sono sereno – spiegava Cantali a MeridioNews – perché ho lavorato sempre con la massima trasparenza e legalità per la mia comunità».
Di certo, almeno per il momento, c’è il frenetico lavoro delle forze dell’ordine. Con visite quasi quotidiane in Comune per scandagliare archivi e prelevare carte. Le verifiche, come sempre avviene in questi casi, riguardano appalti e concessioni. Ma sotto la lente d’ingrandimento ci sono anche gli esponenti della giunta comunale. Nei loro confronti i carabinieri, a cui è stato affidato il compito di redigere i casellari giudiziari, stanno facendo uno screening completo. Ed è proprio grazie a queste verifiche che, come accertato da MeridioNews, sono emersi rapporti di parentela e guai con la giustizia.
Come quelli che hanno per protagonista l’assessore Rodolfo Pignarello Arcodia, titolare delle deleghe a Turismo e Attività produttive, tanti anni da consigliere comunale, ma anche sotto processo per associazione a delinquere di stampo mafioso. Il suo cognome compare in una vecchia indagine della polizia sulle cosche di Maniace, Bronte e Cesarò. Alla sbarra insieme ad Arcodia ci sono circa 35 persone: la prossima udienza è fissata a febbraio davanti alla corte presieduta dalla giudice Lina Di Pasquale. «Purtroppo c’è questa vicenda. Io ho informato il sindaco e dimostrerò la mia estraneità e la mia innocenza», replica al telefono l’assessore.
A pesare sulla posizione dell’assessore – l’accusa in aula è del pm Marco Bisogni – sono alcune intercettazioni ambientali captate dagli investigatori mentre il politico si trovava a discutere con Mario Galati Rando, volto noto alle cronache giudiziarie per l’arresto durante l’operazione antimafia Trash del 2008. Nello stesso anno Galati Rando era finito nuovamente in carcere per una presunta estorsione in concorso ai danni di un imprenditore che stava effettuando dei lavori a Maniace.
Non solo processi ma anche parentele. Agli investigatori non sarebbe sfuggita quella dell’assessora all’Istruzione Giuliana Coci, cognata di Giuseppe Montagno. Quest’ultimo, oggi libero, era stato beccato dagli agenti della squadra mobile di Catania in compagnia del latitante Vincenzo Sciacca. Era l’agosto del 2015 e Sciacca risultava irreperibile da quasi dodici mesi, ossia da quando la procura di Catania aveva ottenuto per lui la custodia cautelare in carcere perché condannato in Appello per omicidio aggravato per mafia. Sciacca non è un personaggio qualunque. Secondo gli investigatori, per lungo tempo sarebbe stato il braccio destro del boss di Bronte Ciccio Montagno, legato alla cosca Mazzei. Interpellata telefonicamente sulla vicenda che riguarda l’uomo, l’assessora nega la parentela. «Quello che vi risulta non mi interessa – replica Coci, prima di riattaccare nervosamente – Non sono affari suoi, io non ho intenzione di rispondere a nessuna domanda fatta al telefono»
Sulle ombre della mafia nel territorio di Maniace, infine, gli inquirenti si sono concentrati più volte. Nei casi, per citare i due più rilevanti, di Gianfranco Conti Taguali e di Valerio Rantone Parasiliti. Il primo, ritenuto organico alla famiglia di Cosa nostra dei Santapaola, è stato per due anni tra i cento latitanti più pericolosi d’Italia, salvo poi finire in galera nel 2012 dopo un blitz dei carabinieri a Cesarò. Conti Taguali era stato condannato all’ergastolo per l’omicidio in concorso di Gianfranco Sanfilippo Pulici, avvenuto il 3 giugno 2002, sempre a Cesarò. Rantone Parasiliti compare, invece, tra gli arrestati del blitz Vicerè sul clan Laudani. Condannato nel processo di primo grado a otto anni, è accusato di essere stato il reggente della cosca a Maniace.
Riceviamo e pubblichiamo dall’assesora Giuliana Coci:
Montagno Giuseppe è uno dei fratelli di mio marito e, per quanto io possa sapere, è imputato in un processo per presunto favoreggiamento di certo Sciacca Vincenzo.
Nulla io e la mia famiglia abbiamo a che vedere con la vicenda giudiziaria di mio cognato al quale auguro di uscire indenne da quanto gli viene contestato. Ciò che mi preme sottolineare è che la mia attività amministrativa è ed è stata sempre limpida ed improntata al bene della collettività e, pertanto, mi sento ingiustamente danneggiata dall’accostamento a fatti e circostanze a me estranee.
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