Il viaggio della torcia olimpica lungo i 2018 km che la porteranno a Pyeongchang, sede dei Giochi invernali, ha visto in azione anche il caporedattore siciliano della Gazzetta dello Sport. Che descrive a MeridioNews le sue sensazioni: l'organizzazione sudcoreana e la consapevolezza di aver vissuto un'esperienza d'élite
Olimpiadi invernali, un catanese tra i 19 tedofori italiani Il cronista Massimo Arcidiacono: «Un’emozione esclusiva»
«Sono partito dall’Italia prendendo l’impegno in maniera rilassata: una volta arrivato in Corea, però, mi sono subito sentito molto preso. Lì ci sono dei briefing dove ti spiegano in tutto e per tutto cosa devi fare, specificando anche le cose più stupide: tra queste, ad esempio, quella di evitare di mettere la torcia all’ingiù». Massimo Arcidiacono, con il suo racconto, ci riporta ai momenti vissuti prima, durante e dopo i 200 metri percorsi da tedoforo nella città sudcoreana di Yongin. La fiamma olimpica, portata per qualche breve ma intenso minuto, ha ancora molta strada da fare per arrivare a Pyeongchang, la sede dei Giochi olimpici invernali (dal 9 al 25 febbraio): il giornalista nato a Catania, adesso a capo della redazione Altri Mondi per la Gazzetta, ci racconta di come sia arrivato a sfilare in Corea del Sud e il clima che si respira in quella che, nella versione estiva o invernale, resta la kermesse sportiva più importante al mondo.
«L’atmosfera qui è molto particolare – specifica Arcidiacono – diversa dalla nostra: i coreani hanno cambiato totalmente impostazione rispetto al passato, togliendo forse un po’ di solennità all’evento. Loro vogliono che i tedofori ballino, parlino, persino giochino con la torcia». Secondo gli organizzatori, poi, il momento in cui i due tedofori si scambiano la fiamma dev’essere particolarmente divertente: «Ho passato il tempo a ingegnarmi – ammette il giornalista di Gazzetta -. Alla fine, al momento del cambio, abbiamo incrociato le torce come fossero due spade laser. Durante il percorso, poi, ho fatto di tutto: ho cantato, ballato, salutato la mia famiglia e l’Italia – ride – pronunciando anche le parole saranghaeyo Korea (Corea, ti amo)».
Il momento in cui si porta la torcia rimane impresso per sempre. «La popolazione locale – spiega Arcidiacono – ti incita quando entri ed esci dall’autobus che ti porta nel luogo in cui riceverai la fiamma olimpica. Ci si muove tra ali di persone festanti: è un’esperienza unica, arricchita dalla grande organizzazione presente in quel paese. La Samsung (sponsor dei Giochi che per l’Italia ha organizzato il reclutamento dei 19 tedofori) ci ha accolto portandoci a vedere parco, museo e pista automobilistica: tutte di proprietà dell’azienda che, in Corea, è una sorta di stato nello stato». Rimane poi la certezza di essere stato in Estremo Oriente in un momento storicamente particolare. «La mia presenza – ricorda il giornalista catanese – è avvenuta alla vigilia dell’incontro tra le due Coree che ha sancito la partecipazione del Nord all’Olimpiade. Fatto storico, anche se a Seul i coreani non sentono molto la paura del vicino di casa. La distanza tra le due capitali – aggiunge – è di soli 200 km, qui si convive da 65 anni con la divisione. Siamo più noi occidentali a preoccuparci della minaccia nucleare».
Per Massimo Arcidiacono, dunque, rimarrà il ricordo e l’emozione di aver partecipato a un evento irripetibile, con diciannove compagni di viaggio speciali. Tra i tedofori italiani, infatti, spiccano i nomi del lottatore di origine cubana Frank Chamizo, due volte campione mondiale ed europeo, dell’atleta paraolimpica Giusy Versace, della ciclista Paola Gianotti: del gruppo fanno parte anche il viaggiatore estremo Danilo Callegari e Vittorio Brandi, unico ad aver avuto l’onore di portare la fiaccola olimpica anche a Londra 2012. Un’esperienza che ha lasciato nel cronista catanese la consapevolezza di come ogni viaggio nasconda sorprese. «I coreani – racconta – prevedono tutto, sono maestri nell’organizzazione: vanno in difficoltà però nella gestione dell’imprevisto. Al contrario nostro che, invece, diamo spesso il meglio nell’emergenza. Seul poi – conclude Arcidiacono – è una città occidentalizzata, anche se non sapevo che la Corea fosse un paese per buona parte cristiano: in mezzo ai grattacieli ci sono molte chiese, con grandi croci illuminate, bianche o rosse. Anche la religiosità lì è vissuta in maniera differente».