La stretta sui contributi della Regione alle organizzazioni che si occupano di contrastare l'usura e le estorsioni fa discutere, specie per le differenze rispetto agli elenchi delle prefetture. «A chi gioveranno queste restrizioni?», si chiedono alcune delle realtà siciliane
Nuove regole Antiracket, le associazioni escluse dai fondi Da Addiopizzo alle Fai, «il nostro è un lavoro più culturale»
Due metri e due misure. O meglio
due metri di misura per valutare le associazioni antiracket siciliane. Da una parte i criteri necessari per essere inseriti nell’elenco degli uffici territoriali delle prefetture, dall’altra i nuovi vincoli per l’accesso ai contributi messi a disposizione dalla Regione. «Questo crea una strana discrasia che non capiamo ancora a chi gioverà», dicono ad Addiopizzo Catania, una delle realtà che, pur restando nel registro prefettizio, non avrà più possibilità di accedere ai fondi regionali. Così come l’associazione palazzolese antiracket Pippo Fava, nata a Palazzolo Acreide, nel Siracusano, nel 1991 come movimento e formalizzata nel febbraio del 1992: «Stanno stringendo molto, ma non possono farci passare per distratti spendaccioni».
Conti che non sanno se torneranno neanche dalle parti di Addiopizzo Palermo, dove dicono di non aver ancora valutato se hanno i requisiti per rientrare fra le associazioni che avranno accesso ai fondi. Nel 2017 la realtà palermitana ha ricevuto dalla Regione disponibilità per un totale di 17.313,43 euro. «In realtà lo scorso anno, però a noi sono stati destinati 7.021 euro – dichiara Daniele Marannano – Adesso non abbiamo ancora avuto modo di approfondire queste ultime modifiche – ce ne occuperemo nelle prossime settimane facendo anche una riflessione più generale su questi strumenti». Insomma, al momento, non rispondono sulla corrispondenza della loro realtà rispetto alle nuove misure previste dalla Regione.
La norma pubblicata in Gazzetta ufficiale lo scorso 13 luglio prevede non soltanto che le associazioni siano iscritte agli albi delle Prefetture, ma che non ricevano altri contributi da Enti locali, che abbiano un numero minimo di dieci soci, di cui almeno la metà imprenditori o commercianti che abbiano subito comprovate estorsioni e/o che si siano avvicinati all’associazione per avere assistenza, che dimostrino di essersi costituite parte civile in almeno un procedimento riguardante un proprio assistito negli ultimi dodici mesi. E ancora, le associazioni per accedere al fondo che quest’anno ammonta a circa 450mila euro, dovranno dimostrare di aver presentato nell’ultimo anno almeno un’istanza di accesso al fondo per vittime di estorsione; di aver assistito imprenditori o commercianti accompagnandoli alla denuncia, in almeno tre fatti estorsivi conclusi con rinvio a giudizio. Infine, devono aver svolto attività di sensibilizzazione con le associazioni di categoria di commercianti e imprenditori; o avere promosso campagne educative nelle scuole.
«Noi di sicuro non potremo più accedere ai fondi – spiega Chiara Barone di Addiopizzo Catania – perché fra i nostri soci ci sono studenti, avvocati, lavoratori dipendenti, consulenti del lavoro e un solo imprenditore. Già solo per questo saremo esclusi». L’associazione che da circa 12 anni opera nel territorio etneo, solo due volte ha avuto accesso ai fondi regionali e già l’anno scorso non ha ricevuto nessun contributo. «Dell’esclusione – dice – ce ne faremo una ragione, anche perché abbiamo sempre fatto affidamento soprattutto sul cinque per mille e sulle donazioni spontanee, ma crediamo che i criteri di selezione siano teorici, astratti, riduttivi e non sufficienti a qualificare e restituire il lavoro delle associazioni». Concordano sui controlli rispetto a come vengono spesi i contributi, ma, dicono, «non ci interessa fare il gioco di chi ha più iscritti o di averne di una certa categoria. Della quantità – aggiunge Barone – abbiamo sempre fatto un valore al contrario, facendo anche una rigida selezione degli iscritti. Non ci limitiamo solo alle denunce degli imprenditori, ma quello della nostra associazione antiracket è soprattutto un lavoro culturale».
«È vero che qualche associazione ha approfittato delle maglie che prima erano troppo larghe – afferma Paolo Caligiore, il coordinatore provinciale delle associazioni antiracket del Siracusano – ma c’è la preoccupazione che anche alcune realtà davvero meritevoli vengano tagliate fuori solo perché lavorano in territori piccoli. Noi, per esempio – sottolinea Caligiore – accompagniamo gli imprenditori dalla scelta della denuncia fino alla fine del percorso. Credo che basterebbe rifarsi alle liste sempre aggiornate e controllate dalle prefetture per avere dei criteri validi. La questione della costituzione di parte civile ai processi è giusta ma non può essere vincolante, perché bisogna tenere conto anche delle caratteristiche dei territori e della lentezza della giustizia e delle difficoltà che spesso si hanno nell’individuare i responsabili». L’anno scorso per la realtà del Siracusano, la Regione aveva preso un impegno per 10.388,06 euro. «Ma – precisa Caligiore – abbiamo avuto solo un rimborso spesa di 1.650 euro perché è difficile anticipare grosse somme, viviamo di volontariato». Insomma, la richiesta delle associazioni, che comunque vedono di buon occhio la stretta sull’accesso ai fondi, è che i criteri di selezione siano applicati su questioni più concrete. «È giusto escludere anche piccole realtà che lavorano bene? – si chiedono – La meritevolezza va stabilita su ciò che viene fatto e non sulla composizione dell’associazione».
Chi nell’ultimo anno ha ricevuto un impegno della Regione di oltre 17mila euro è l’associazione antiracket Gaetano Giordano di Gela, guidata da Renzo Caponnetti, che è anche referente della Fai Sicilia, Federazione italiana antiracket, una sigla sotto la quale si riuniscono diverse associazioni. Caponnetti annuncia che «non parteciperà alla richiesta di fondi regionali» col suo gruppo di Gela. Nata nel 2005, l’associazione Gaetano Giordano conta circa 175 soci, «di cui più della metà sono imprenditori o commercianti che abbiamo accompagnato alla denuncia».
Caponnetti è convinto che «a Gela il pizzo non esiste più», al punto che ha voluto fortemente mettere all’ingresso della città Gela città derackettizzata, un messaggio che però stride rispetto ad alcune operazioni delle forze dell’ordine eseguite negli ultimi anni nel comprensorio e nell’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia dove si sottolinea che la «Stidda, rappresentata dai clan Cavallo e Fiorisi di Gela (CL) e dal clan Sanfilippo di Mazzarino (CL), conserva una significativa influenza nei comprensori di Gela e Niscemi, dove si mantiene in accordo con le famiglie di cosa nostra Rinzivillo ed Emmanuello, assieme alle quali si spartisce i provenienti derivanti dalle estorsioni e dall’usura, dal condizionamento degli appalti e dal traffico degli stupefacenti».
Ma le varie associazioni Fai siciliane potranno continuare ad accedere ai fondi regionali? «Non me ne viene in mente nessuna che abbia meno di dieci soci – risponde Caponnetti – anche se non tutti hanno i requisiti richiesti da prefettura e Regione. Per esempio, il fatto che la metà dei componenti devono essere imprenditori che hanno subito estorsioni, in alcuni territori diventa più problematico perché, appunto, le estorsioni non hanno più i numeri di prima».
A Vittoria, ad esempio, la Fai è nata nel 2014 e non ha mai avuto accesso ai fondi regionali. «Non abbiamo ancora nemmeno fatto richiesta – spiega la presidente Eliana Giudice – preferiamo autotassarci». I soci sono una ventina, fra cui un solo imprenditore che ha subito un attentato incendiario agli automezzi, episodio per cui le indagini sono ancora in corso. «Abbiamo seguito casi di usura – dice Giudice – ma non di estorsione. È vero anche che nel nostro territorio, negli ultimi anni, il pizzo non è più quello di una volta perché la mafia si è fatta impresa e guadagna imponendo servizi e beni alle aziende locali, ma bisogna procedere con i piedi di piombo prima di accogliere imprenditori o commercianti perché è necessario distinguere chi ha davvero subito da chi vorrebbe solo approfittare della situazione».
Negli ultimi anni, prima della stretta sui fondi regionali, molte restrizioni hanno interessato anche gli elenchi delle prefetture locali e sono state tagliate fuori associazioni che non avevano più i requisiti previsti dal decreto ministeriale del 30 novembre del 2015. Ovvero, la collaborazione con le forze
dell’ordine
«nell’individuazione dei fattori sociali di
radicamento e sviluppo dei fenomeni criminali e
delle strategie sul piano economico e produttivo ai fini
dell’attività di prevenzione e/o contrasto al racket e
all’usura», si legge nel documento. Poi, la
costituzione di parte civile in almeno un
procedimento riguardante un proprio assistito, nell’ultimo biennio; e l’aver svolto attività di sensibilizzazione delle vittime al
ricorso alla denuncia e la
promozione di
campagne educative e di diffusione della
cultura della legalità. Altre sono state escluse semplicemente per «inattività». Fra queste anche realtà che hanno ricevuto fondi regionali che, nel 2017, sono stati complessivamente 435mila euro.