Nuove norme per l’assistenza ai disabili Una madre: «L’assegno è un loro diritto»

«La disabilità in questa società non viene capita, figuriamoci aiutata. Lotto da sempre per i diritti di mio figlio, ma sono stanca. Non è un cittadino di serie B e invece così viene trattato». È questo lo sfogo della signora Rita D’amico, madre di un ragazzo disabile che, dal prossimo mese, dovrebbe versare il suo assegno di mantenimento nelle casse dell’Asp (l’azienda sanitaria provinciale, ndr) piuttosto che utilizzarlo come aiuto alle necessità del figlio e della famiglia.

A deciderlo è l’assessorato regionale alla Sanità guidato da Lucia Borsellino con un decreto approvato a inizio ottobre e con il quale si definiscono le regole in merito alla «compartecipazione delle famiglie ai costi delle prestazioni riabilitative psico-fisiche-sensoriali in regime residenziale e semi-residenziale». Si chiede quindi ai nuclei familiari di contribuire alle spese sanitarie per i propri figli che necessitano cure specifiche facendo riferimento a norme e accordi di legge «per il perseguimento dell’equilibrio economico del servizio sanitario regionale».

Secondo l’articolo due del decreto «la retta dovrà essere corrisposta interamente dalla Asp al centro di riabilitazione convenzionato. Pertanto, i soggetti invalidi civili beneficiari di assegno di accompagnamento sono tenuti alla corresponsione dell’assegno medesimo mentre la restante parte della quota di compartecipazione rimane a carico del Comune». Il problema è che le regole sono uguali per tutti, sia per i disabili che sono ospitati in appositi istituti tutto il giorno, ovvero in modo residenziale, che per quelli che usufruiscono di assistenza semi-residenziale. E se per i primi l’imposizione del decreto non rappresenta una novità, diversa è la questione per i secondi.

Tra di loro c’è anche Giovanni, il figlio di Rita D’amico che ha 31 anni e gode dell’assistenza presso un istituto in modo semi-residenziale. Ogni pomeriggio torna a casa dove sta anche durante il fine settimana, «ma ha una sindrome genetica che lo ha lasciato a un’età mentale di un bambino, non è autonomo», spiega la madre. «Deve sempre essere accompagnato da un adulto, ma anche lui ha diritto ad andare al cinema o al mare ad esempio, e l’assegno serve anche a questo», continua. Delle circa 750 euro che le arrivano ogni mese per il figlio, «250 sono per l’invalidità civile, il resto è l’accompagnamento, cioè la parte che dovrebbe invece andare all’Asp», spiega.

D’Amico non è del tutto contraria al contributo della famiglie, considerato il grave stato delle casse regionali, ma «si dovrebbero considerare sia le ore di assistenza in casa che il reddito della famiglia e non in modo così arbitrario», sostiene. «Guadagno solo 350 euro e lo stipendio è sempre in ritardo (la signora è dipendente delle cooperative socio-assistenziali del Comune, spesso è inadempientendr), come faccio ad aiutare mio figlio senza l’assegno regionale?», chiede Rita D’amico.

Per cercare di fare sentire la propria voce, insieme con altre famiglie dell’istituto in cui è assistito il figlio, sta organizzando una class action. «Stiamo inoltre decidendo se protestare tenendo i nostri figli a casa», continua. Eventualità che metterebbe in ginocchio anche i lavoratori del settore. Da parte dell’Inps, comunque, «non è arrivata nessuna informativa circa eventuali cambi per l’erogazione dell’assegno – dichiara ancora D’Amico – Per via informale, dagli uffici dell’ente ci hanno fatto sapere che continueremo a ricevere regolarmente l’assegno perché una prassi differente sarebbe anticostituzionale», conclude.

[Foto di Simone Ramella]


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