Per la serie che sha dda fa pe campà una nostra redattrice, nel ramo da tempo, ci porta alla scoperta di un mestiere molto diffuso tra le studentesse universitarie che, al contrario di quanto pensano alcuni, presenta non poche difficoltà
Non sparate sulla promoter
Quando si è studenti universitari, si sa, le spese sono tante e si è in un’età in cui i soldi della classica “paghetta” dei genitori non bastano più.
L’unica alternativa per smettere di pesare interamente sulle spalle dei genitori è quella di cercarsi un lavoretto part-time. Ma come fare a conciliare le lezioni, le ore da dedicare allo studio ed il lavoro? Magari evitando sovraccarichi di stress ed estenuanti corse contro il tempo?
Io sono riuscita a trovare il lavoro perfetto per una studentessa universitaria: faccio la promoter. Sì, esatto, la signorina che vi rompe le scatole mentre fate la spesa al supermercato perché vi vuole vendere qualcosa che (quasi sicuramente) non vi serve. Proprio quella. Bello, vero?
Il mio lavoro si svolge solo nei fine settimana, quindi trovo il tempo per studiare e andare a lezione. In fondo non è che ci sia granché da fare: devi solo andare la mattina nel punto vendita che ti assegnano, piazzarti davanti allo scaffale e convincere più gente possibile a comprare. Non è difficile, e soprattutto si riescono a guadagnare un po’ di soldi con il minimo sforzo. Ma siamo sicuri sia davvero così? Questo lavoro, al contrario di quello che molti credono, non è tutto rose, fiori, campioncini di prova e sorrisi…
La promoter deve anche svolgere dei compiti non molto piacevoli, anzi direi proprio fastidiosi. Primo fra tutti: il facchinaggio.
Mi spiego meglio: che bello quando al supermercato c’è la signorina che dà i gadget, vero? Ecco, la promoter non la pensa così. Quando una promozione “gratifica il cliente omaggiandolo con un gadget elegante e funzionale”, è la promoter che deve caricarsi in macchina una quantità immonda di scatoloni contenenti questi gadget, la maggior parte delle volte orrendi e sempre tutt’altro che funzionali (almeno per chi deve portarli a spalla). Se poi la macchina della promoter in questione è una Ford Ka in cui non si può utilizzare il cofano per svariati motivi, vi lascio immaginare la situazione…
Ma non finisce qui.
Un altro compito sgradevole della promoter è di interfacciarsi con la temibile figura del “repartista”. Durante le otto di ore di lavoro al supermercato, in cui deve stare in piedi senza remissione di peccato, e la maggior parte delle volte su scarpe scomode, la promoter deve “prendersi cura dell’immagine del prodotto che promuove”. Tradotto: la mattina deve sistemare la merce sugli scaffali, e tenerli sempre in perfetto ordine, in modo che sembrino sempre pieni. Ma, per quanta buona volontà ci possa mettere, il concetto di vendere la maggiore quantità possibile di prodotto non si sposa affatto con il tenere sempre pieno lo scaffale. O no? Quindi, quando il prodotto sta per finire, devi rivolgerti al repartista per, ove fosse possibile, fartene portare dell’altro. Peccato che il 99% delle volte il repartista ti ignora come se tu fossi invisibile o solo frutto della sua immaginazione, oppure, se riesce a sentirti, dimentica quello che gli hai detto appena girato l’angolo, costringendoti a ripetergli per tremilatrecentotrentatrè volte la stessa cosa.
Vabbé dai, tralasciando questi piccoli inconvenienti potrebbe anche essere un bel lavoro: si stringono rapporti interpersonali, si comunica, si parla con la gente… Ah, dimenticavo: l’ultima e sicuramente più ardua mansione della promoter è proprio parlare con la gente. Ti sono richiesti almeno un paio d’anni di nozioni di psicologia applicata, faccia di bronzo che più di bronzo non si può, pazienza oltre ogni ragionevole limite, un corso intensivo di ingegneria della truffa e, last but not the least, il sorriso perenne.
Allora: già fai un lavoro che non ti piace, già sei stanca morta, già ti pagano una miseria, già te ne sono capitate di tutti i colori durante una sola giornata, già devi ripetere la stessa frase per otto ore di fila, E DEVI ANCHE TROVARE LA VOGLIA DI SORRIDERE? Beh, io ci riesco rivedendomi in testa tutto “Robin Hood Un Uomo in Calzamaglia”, e con questo sorriso sincero come le unghie finte, inizio a parlare con le persone. A proposito di persone, quello che ho potuto constatare in oltre un anno e mezzo di esperienza è che la clientela dei supermercati è varia, cambia anche in base alla tipologia e alla dislocazione del punto vendita. Suddividerla in gruppi di appartenenza ben distinti è compito arduo anche per la più esperta delle promoter. Ma quello che ho dovuto imparare a fare per salvaguardare i miei nervi, e soprattutto la loro incolumità, è stato suddividerli in categorie in base a come reagiscono quando cerchi di vendergli i tuoi prodotti…
Ma dei potenziali clienti parleremo nella prossima puntata: s’è fatto tardi, devo andare ad allestire uno stand.