Non si può morire per una cassetta di frutta Una riflessione sulla tragedia di La Fata

E’ morto Salvatore La Fata, l’operaio edile che si era dato fuoco giorni fa a Catania. Aveva perso il lavoro, in una regione dove lavoro non ce n’è, tranne che non sei un amico degli amici. Tranne che non sei amico del piccolo potente di turno. Del capo di bastone di qualche partito. Salvatore la Fata forse aveva una cosa che sembra oggi sconosciuta, aveva la dignità. Non se ne va a rubare, non se ne va a pietire, si industria. Si compra qualche euro di frutta e la va a vendere per strada. Lo fa a Catania, dove ad ogni angolo della città ci sono questi venditori abusivi. Anche nelle vie del centro.

La Fata sceglie un pezzo di periferia, dove pensa di non dare disturbo. In fondo di che stiamo parlando? Di un padre di famiglia che vende un po’ di frutta per strada. Nella città dell’abusivismo, nella città dei Suv e degli hammer in tripla fila davanti ai bar bene della città, nella città dove tutto è concesso, non c’è spazio per chi ha dignità.

La vicenda verrà archiviata come suicidio. Ma questo non è un suicido. E ha i suoi responsabili. Sarei curioso di sapere quanti controlli di questo tipo i due solerti vigili hanno fatto. Sarei curioso di sapere se qualcuno li ha chiamati. Perché anche l’abusivo ha le sue regole, ti devi mettere in regola, con qualcuno. Chiunque sia. E poi gli altri responsabili: una classe politica siciliana, tutta, incapace di trovare le minime riposte ai bisogni primari della gente, al bisogno della dignità. Discorsi inutili, tanto tra un po’ ci saremo scordati di questo poveraccio. Certo avrà un bel funerale, magari con qualche assessore con sciarpa tricolore. E i vigili urbani con i pennacchi con i pennacchi. Ma cazzo non si può morire per una cassetta di frutta.


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