Monsignor Alessandro Damiano ha parlato delle sette vittime dell'ultimo naufragio al largo di Lampedusa in occasione della messa in onore di San Calogero, il santo nero che è compatrono della città di Agrigento
«Non possiamo continuare a ignorare certe tragedie» L’omelia del vescovo dedicata alle donne morte in mare
«Uno dei modi in cui Dio ci parla e interpella la nostra coscienza si è consumato proprio in questi giorni sul mare di Lampedusa». Sono state queste le parole con cui l’arcivescovo di Agrigento Alessandro Damiano ha aperto l’omelia della messa in onore di San Calogero, il santo nero che è compatrono della città. «L’ennesima tragedia di un Mare Nostrum che ormai di nostro sembra avere ben poco. Stavolta – ha aggiunto il vescovo – facendo riferimento a quanto avvenuto pochi giorni fa – è toccato a sette donne, una delle quali nel suo grembo, diventato tomba, portava una vita che non vedrà mai la luce di questo mondo, ma che è già nella luce di Dio».
Damiano ha dedicato l’intera omelia alle donne morte, lo scorso giovedì, mentre viaggiavano su un barchino di appena otto metri con a bordo una sessantina di persone. «Quelle donne sono state identificate solo da una lettera e da una data di morte – ha sottolineato l’arcivescovo – Troveranno riposo al cimitero di Palma, ma non sappiamo chi sono. Non potranno essere piante da parenti e amici». Una messa celebrata in piazza Stazione che si è trasformata in un santuario a cielo aperto.
«Quale posizione intendiamo assumere davanti a questa tragedia e dinanzi a quelle che, ogni giorno, si consumano dinanzi ai nostri occhi? – ha chiesto l’arcivescovo – Continueremo a rammaricarci perché, quest’anno, non possiamo festeggiare San Calogero? Oppure cominceremo a seguire la via che lui, San Calogero, ha tracciato e che non possiamo ignorare, ostinandoci a guardare dall’altra parte? Forse avevamo bisogno di una festa a metà – ha concluso, riferendosi al fatto che i festeggiamenti, per effetto della pandemia, sono ridimensionati – per ricordarci che, come il nostro santo, non possiamo rivolgere i nostri occhi al Signore se non siamo disposti a rivolgerli, rischiarati dalla sua luce, al nostro territorio e ai suoi drammi».