Non per soldi, ma per denaro

Mutualità, piattaforme distributive, digitale, satellitare, diritti in chiaro, diritti criptati, gestione soggettiva… Ci sarebbe proprio bisogno di un piccolo glossario esplicativo per potersi raccapezzare nel marasma informativo che negli ultimi giorni ha inondato pagine di giornali e trasmissioni televisive riguardo la gestione e la distribuzione dei diritti televisivi del calcio.

Il casus belli (l’ultimo dei tanti, per la verità) è stata la vendita a Mediaset da parte della Juventus dei diritti per la trasmissione delle proprie partite interne di campionato delle prossime due stagioni per la cifra record di 218 milioni di euro. Le reazioni a questa notizia sono state immediate, e se da un lato c’è chi, per ovvi motivi, ha difeso questa operazione, dall’altro c’è stato chi invece ha attaccato in maniera durissima l’accordo.
Il vulcanico presidente del Palermo, nonché vice-presidente vicario della Lega Calcio, Maurizio Zamparini, si è fatto portavoce del malcontento di tutti i club di piccola e media grandezza, affermando che in siffatta maniera “la Juventus intasca un sacco di soldi, alle altre squadre rimangono le briciole”. A suo sostegno sono subito arrivate le voci di altri autorevoli esponenti del mondo del calcio, come quella dell’imprenditore Diego Della Valle, proprietario e presidente della Fiorentina, che ha dichiarato che la modalità di vendita individuale dei diritti televisivi (tra l’altro permessa da un’apposita legge datata 1999, governo D’Alema) toglie competitività ai club più piccoli, rischiando di conseguenza di falsare il campionato stesso.

La minaccia sbandierata da questi oppositori è stata quella di non far scendere in campo le proprie squadre quando saranno in programma le partite con la Juventus (e con ogni probabilità, dato l’avanzato stato delle negoziazioni, anche con Inter e Milan).
Voce favorevole all’accordo è stata invece quella del presidente dell’Inter Massimo Moratti, da sempre ritenuto personalità “eticamente irreprensibile” anche da parte delle società minori. Il petroliere proprietario del club nerazzurro ribadisce che, dato che le regole attuali lo consentono, non capisce perché si gridi allo scandalo. A suo avviso, le cifre ricevute finora dalle tre grandi, così come quelle che percepiranno in futuro, non sono regali ma soldi rapportati al numero di tifosi rappresentati e all’importanza che questi club hanno nelle strategie dei network televisivi.

Lo scontro, in due parole è tra chi da un lato vorrebbe una spartizione più equa tra tutte le società di serie A delle risorse economiche provenienti dalla televisione (vale la pena ricordare che per la sola Serie A, tra diritti in chiaro e criptati, le reti televisive pagano per la stagione in corso una cifra complessiva che si aggira intorno a 500 milioni di euro), ed è quindi per una negoziazione collettiva della vendita dei diritti, e chi dall’altro, affermando di essere il vero motore della macchina calcio in Italia (Juve, Milan e Inter), ritiene più equa una negoziazione soggettiva. La battaglia in Lega sarà rovente, e il fatto che a presiedere la Lega sia proprio un rappresentante delle tra grandi, Galliani del Milan, di certo non serve a rasserenare il clima. La domanda che però viene da porsi è: tutti quelli che adesso alzano la voce, da Della Valle a Zamparini, perché non hanno previsto in anticipo a quale tipo di problematiche si sarebbe andati incontro quando hanno eletto Galliani presidente?

Fin qui la discussione in ambito Lega Calcio. Il problema, tuttavia, si rivela più complesso di quanto possa sembrare, in quanto non riguarda solo l’ambiente calcistico ma ha una ricaduta di natura politica, e che vede sul banco degli imputati il Presidente del Consiglio, che è anche proprietario di una delle tre grandi del calcio italiano, il Milan. Quando infatti Alleanza Nazionale, appoggiata da tutti i partiti, compresi quelli dell’opposizione, ha presentato un disegno di legge per modificare l’attuale sistema soggettivo in un sistema collettivo, che tutela maggiormente i diritti delle società medio-piccole, il veto di Forza Italia in commissione parlamentare ha sbarrato la strada all’approvazione del testo (data la ormai prossima scadenza della legislatura solo un’approvazione in commissione avrebbe potuto bypassare la discussione parlamentare).

“Conflitto d’interessi”: questa è stata la definizione che si è levata, da destra e da sinistra, contro la scelta del partito di Berlusconi di boicottare la legge. Da Bertinotti (“Come si fa a non vedere questo gigantesco conflitto d’interessi?”) a La Russa (“Quella di Forza Italia è una visione miope”), passando per Castagnetti della Margherita: “Quando ci sono di mezzo gli interessi patrimoniali e imprenditoriali del capo del governo Forza Italia interviene sempre bloccando le Camere. Lo stesso Ministro delle comunicazioni Landolfi, di AN, ha sottolineato come non approvare la legge sia stata “un’occasione perduta per frenare le spese folli che stanno riducendo il calcio ad una competizione per pochi intimi”.

Insomma, dall’aspetto prettamente sportivo a quello politico il passo è davvero breve. E in un momento in cui lo sport più amato dagli italiani è afflitto da tanti altri problemi, dal caro-biglietti ai fallimenti societari, dallo scandalo doping alle violenze dei teppisti da stadio, questa polemica non è altro che benzina gettata su un fuoco già di per sé violentemente acceso. La preoccupazione è che con ogni probabilità anche questa volta a farne le spese sarà, come ormai troppo spesso accade, chi vede ancora in questo sport una fabbrica di sogni ed un’inesauribile fonte di svago.


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