«Com’è possibile che lo stesso cervello in posti diversi dia risultati diversi? Vuol dire che c’è un errore nel meccanismo, vuol dire che è il sistema che non va». Perché Antonio Lima, 25 anni, nato ad Acate e oggi dottorando a Birmingham, se fosse rimasto all’università di Catania, probabilmente non avrebbe vinto assieme al ventottenne messinese Manlio De Domenico e sotto la guida del trentaseienne bolognese Mirco Musolesi il Nokia mobile data challenge 2012.
«Un paio di anni fa spiega Antonio Nokia ha fatto una grande campagna di raccolta dati, dando alcuni cellulari in dotazione a un centinaio di utenti: ne monitoravano la posizione, l’accelerometro, le chiamate, gli sms, gli eventi che segnavano nel calendario, tutto». Ma di questi dati bisognava capire che fare, come strutturarli, in che modo trarne vantaggio. «Noi ci occupiamo di analisi, anche di dati mobile, va da sé che quelli di Nokia, per noi, erano una grande occasione di studio». Così, venuti a sapere del concorso lanciato dalla multinazionale finlandese, Antonio, Manlio e Mirco hanno scritto un articolo «che parlasse della predizione: analizzando i luoghi in cui gli utenti andavano, ci siamo accorti di essere in grado di prevedere anche dove sarebbero andati in futuro, e ci siamo resi conto che, aggiungendo anche i dati dei loro amici, riuscivamo a essere sempre più precisi».
Una commissione composta da tre persone Henry Tirri di Nokia, Alex Pentland del Massachusetts institute of technology, e Tony Jebara della Columbia university ha deciso che la loro era l’idea migliore. «Abbiamo vinto 3mila euro, ma non abbiamo ancora deciso come spenderli», prosegue Antonio. Difficilmente, però, li useranno per la ricerca: «I fondi per quella li abbiamo, magari li spenderemo per pagarci i viaggi per andare alle conferenze, o le attrezzature extra». Intanto, i soldi li mettono da parte. E la soddisfazione se la tengono: «Si sono detti interessati a partecipare più di 600 gruppi da tutto il mondo, e sono stati presentati almeno 120 articoli». Nessuno dei quali italiano. «È stata la cosa che mi ha stupito di più racconta il ragazzo Non c’era un solo gruppo che venisse dall’Italia: giovani italiani sì, ma emigrati, venivano tutti da altre nazioni». L’unica spiegazione possibile «è che non solo chi va fuori produce meglio, ma anche chi resta si ferma perché non ha incentivi». Come a dire che il vecchio detto secondo il quale «cu nesci arrinesci», cioè «chi va via ha successo», «è drammaticamente vero».
Il problema, però, non è tanto la Sicilia . «Non ci sono meccanismi di controllo né meritocrazia dice Antonio Lima Nel Regno Unito se un dipartimento non produce, quel dipartimento non ha finanziamenti, e non importa se ci lavora un professorone di sessant’anni: se non fa ricerca, non ha motivo di ricevere fondi». Questa è una delle ragioni per le quali Antonio nella sua terra non vuole tornarci: «Mi piacerebbe, casa mia mi manca sotto molti punti di vista: mi intristisce pensare di costruirmi una famiglia all’estero… Ma tutte le strade che penso mi portano fuori dall’Italia».
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