Noi vendiamo calzette. Vogliamo farti comprare qualcosa

Ieri mattina, alle 12 circa, stavo per lasciare la Facoltà a bordo della mia auto quando decido di accostarmi sul lato destro della strada per fare una telefonata. A motore acceso mi fermo accanto la fila di motorini, e tiro fuori il cellulare. Istantaneamente si avvicina un ragazzo col casco su un motorino blu, aveva l’aspetto di un ragazzo comune tra i 23 e i 27 anni. Si poggia sul finestrino aperto della mia auto e mi chiede in dialetto di dove fossi; gli rispondo con sincerità, credendo che probabilmente mi conoscesse. Mi accusa di non essermi fermato ai richiami di un presunto ragazzo che poco prima mi avrebbe chiamato. Io gli rispondo che non avevo sentito e gli chiedo cosa fosse successo.

E’ da questo momento che capisco effettivamente la situazione in cui mi trovo, perché il ragazzo comincia a fare accuse che mi ricordavano remoti episodi di incitazione alla violenza in età adolescenziale: “Ma chi vo fari u spettu? Mbare, vo’ fari u malandrinu in Piazza Danti?”. Ed io: “No, mbare, picchì, chi fu?”, con tono da catanese a lui compatibile, tono che la paura mi consigliava essere quello giusto. Al mio accenno di ripartire, mi mette una mano sulla giacca e mi dice di stare calmo, di non aver paura, che se avesse voluto derubarmi l’avrebbe già fatto prima. Parla al plurale dicendo: “nuatri vinnemu cuasetti…” e altre frasi incomprensibili. “Ti vulemu fari accattari quacchi cosa, viri chi po’ cogghiri”. Mi stava invitando a dargli tutti i soldi che potevo raccogliere e avevo dieci euro, i quali gli sembrano pochi. Così mi consiglia nel caso avessi Postepay o altre carte di prelevare alla posta vicino. Gli rispondo con tono arrabbiato di non avere nient’altro e che il cellulare che avevo non valesse nulla. Così prende i dieci euro e se ne va.

Decido con rabbia di ripartire, ma quando arrivo in via Vittorio Emanuele lo rivedo che stava per fare un’altra di queste “operazioni” ad un’altra macchina con a bordo due ragazzi. Mi fermo 50 metri dopo aspettando che ripassassero questi ragazzi ma non li vedo più e dopo 10 minuti me ne vado. Lo rivedo nuovamente superarmi, stavolta si accorge della mia presenza e si gira a guardarmi, ma mi lascia lì, bloccato nel consueto traffico di macchine.

Non c’è stato bisogno di minacciarmi, perché gli ho facilitato il lavoro, lui leggeva già sul mio volto che avevo compreso e la mia paura era nata non tanto per lui in quel momento, ma per quello che nei giorni successivi mi avrebbe potuto fare passare se avessi reagito, grazie al suo essere probabilmente coinvolto in un’organizzazione più grande e più potente. Ho avuto paura di vivere con irrequietudine i miei giorni futuri in un luogo che amo, quello della Facoltà. Così dargli 10 euro mi avrebbe tirato fuori da quel guaio. Forse ho sbagliato, ma non è semplice riflettere in quei momenti. Ho fatto la cosa più facile, e nello stesso tempo la più non voluta.

Quando si riferiva a quel ragazzo che non avevo sentito in realtà voleva farmi capire che non era solo, cosa falsa. Ho aspettato senza risultati quei ragazzi in via Vittorio Emanuele per cercare altre testimonianze e sto temporeggiando prima di usare il numero della targa del motorino che guidava l’estorsore, che subito avevo segnato. Cerco solidarietà, collaborazione e forze con l’obbiettivo di reagire ad un fenomeno in aumento, che in molte altre parti di Catania contribuisce a rendere la vita inquieta e privata di libertà.

Mi hanno chiesto di dare qualche consiglio, ma non è facile perché ogni situazione può essere differente. Dipende dal contesto. Nella maggior parte dei casi comunque non conviene andare in giro con troppi soldi e con oggetti di valore, questo renderà più breve e indolore l’eventuale “trattamento”.

Se credete di farcela, qualora i malviventi fossero più di uno e aveste con voi molto denaro, potete correre, ma correre veloce. Se ne avete di fronte solo uno e volete reagire, fatelo solo in posti frequentati e, prima che il malvivente tiri fuori un’arma, potreste avere successo perché a lui non conviene fare scena in una piazza, quindi vi lascerà stare presto. Reagire è una scelta difficile, lo è stata per me che sono un giovane istruttore di kung fu; si preferisce la soluzione saggia, perché il punto non è lui come avversario, ma lui come punta di un iceberg attivo, specialmente se il territorio interessato appartiene alla vostra vita quotidiana.

Per questo e da questo voglio cominciare.


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