Da giovane passava musica nei locali tra Taormina e Catania, adesso per chi lavora nel settore è il volto della movida nella Sicilia nord-orientale. Quarantasette anni e un curriculum da direttore artistico di serate house, secondo i pentiti era «un amico». È accusato di concorso esterno alla mafia
Nino Puglia, il dj diventato gestore di discoteche Il «Briatore ionico» ritenuto vicino al clan Laudani
Lo chiamano il «Briatore della costa ionica» e per i giovani dj della Sicilia nord-orientale rappresenta il modello a cui aspirare. Nino Puglia, 47 anni, ha cominciato passando musica nei locali tra Taormina e Catania. Ed è arrivato a gestire l’organizzazione delle serate house più importanti del territorio in cui aveva mosso i suoi primi passi. Una carriera da direttore artistico che, secondo gli investigatori, si sposava con gli interessi del clan Laudani, abbastanza da accusarlo di concorso esterno in associazione mafiosa. Un’accusa pesante per l’ex dj Red mash che, con il gruppo organizzatore Atmosphere fashion club (Afc), è entrato nelle più note discoteche etnee e non solo, almeno a partire dal 1996. Dal Capannone (poi diventato Vola, in via Domenico Tempio), passando per le serate del lido Stockholm e del Tout va (Taormina) e per quelle di Marabù e Taitù (Giardini Naxos).
«Quando noi abbiamo preso le discoteche, nel 2004, io avevo allacciato subito i rapporti con Nino Puglia», racconta il pentito Giuseppe Laudani, primo e finora unico collaboratore di giustizia della famiglia, nipote del cuore del patriarca Sebastiano. Nelle parole di Giuseppe c’è l’albero genealogico delle discoteche della Sicilia orientale. Cambi di nome, passaggi di proprietà e, soprattutto, interessi della famiglia. «Le discoteche di Taormina, io le parlo anticamente, erano tutte gestite da noi», sostiene. Dallo Skipper, che sarebbe stato di suo padre, al Marabù, passando per il Lady Godiva (al posto del quale, adesso, c’è un parcheggio), il Kabana e il Taitù. È per i locali di Giardini Naxos che Nino Puglia avrebbe chiesto il sostegno della famiglia Laudani. A servirgli sarebbe stata una mano nell’organizzazione delle serate e nella scelta delle persone da usare come servizio di sicurezza. Un modo per prevenire eventuali richieste di estorsioni e per «mettersi a posto». Ma anche, secondo il pentito, per avviare collaborazioni più redditizie in futuro.
Qualcosa di più delle semplici estorsioni. Soldi che sarebbero stati versati nelle casse del clan in occasione delle feste o delle serate di richiamo. E di eventi importanti Nino Puglia ne ha organizzati tanti. Chi è del settore racconta che tutti i nomi più prestigiosi della musica house italiana e mondiale passavano dalle sue discoteche. Due nomi su tutti: Claudio Coccoluto e Bob Sinclair. Ospiti suoi anche per via della fama che si sarebbe guadagnato portando il circuito della musica da discoteca in Sicilia orientale. «La sua fama lo ha sempre preceduto – sostiene chi ci ha lavorato in qualche occasione – È il volto numero uno della movida a Taormina e Giardini». Un uomo pacato, titolare anche di un negozio di telefonia a Giarre. «Uno intelligente, che da pr è diventato gestore», ammette Giuseppe Laudani.
Una scalata verso il successo frutto anche di scelte oculate. Come quella di accettare che i servizi di sicurezza dei buttafuori venissero realizzati dalla società di Ottavio Pezzino. Un incensurato che, insieme ad Alessandro Raimondo (detto Mattonella, cugino di Giuseppe Laudani), garantiva il corretto svolgimento delle serate tramite la gestione della security. Ma spesso i gorilla erano uomini vicini al clan e, in base alle parole dei pentiti, assicuravano lo spaccio di droga all’interno dei locali. Cocaina, marijuana ed ecstasy vendute solo dai membri del clan Laudani. Traffici illeciti rispetto ai quali, però, non è stato accertato il consenso di Puglia.
Dei bodyguard vicini alla mafia, almeno tre sono stati arrestati nell’operazione I vicerè. Si tratta di Piero Castorina (classe 1973), Antonio Pappalardo (detto Pitbull, classe 1979) e Leonardo Parisi (detto Leo Manitta, classe 1970). Condannato per estorsioni, armi e ricettazione, Manitta deve il suo soprannome all’arto amputato. Aveva 27 anni e non aveva precedenti penali quando, nel 1998, la sua mano è esplosa mentre piazzava una bomba di fronte alla discoteca taorminese Tout va. Un attentato dinamitardo per conto del clan Laudani, che si è concluso con l’amputazione del suo avambraccio destro. Uscito per l’ennesima volta dal carcere, nel 2007, Parisi si sarebbe subito ri-attivato nel traffico di stupefacenti. Accusato di associazione mafiosa, sarebbe stato capace di arrivare fino in Olanda per ritirare partite di cocaina. Ma i suoi affari per conto del clan si sarebbero svolti al Marabù, con le pasticche in tasca per gli uomini dei Laudani e per i clienti della discoteca.