Nino Bixio, garibaldino & assassino

Dopo il grande successo sulla biografia di Garibaldi (“Garibaldi, l’invenzione di un eroe”, edito da Laterza e giunto all’ennesima ristampa), Lucy Riall entra portentosamente in un tema molto spinoso della storia d’Italia: la rivolta di Bronte. Lo fa con il suo consueto rigore scientifico e con la certezza, evidente fin dalle prime pagine nel suo nuovo libro “La rivolta, Bronte 1860” (sempre edito da Laterza), che la verità storica su questa tristissima pagina del Risorgimento va ricercata, non solo nei documenti originali, ma anche dando la giusta attenzione alla contestualizzazione e alle radici più profonde di quegli avvenimenti. (a destra, foto tratta da lionspalermodeivespri.it)

Lucy Riall incomincia quindi la ricostruzione storica dal momento in cui viene assegnata a Orazio Nelson la “Ducea”, ovvero il vasto territorio, o latifondo, insistente entro i confini della cittadina etnea, oggi nota per il pistacchio oltre che per l’omonima rivolta.

In effetti, il titolo del volume potrebbe essere considerato addirittura “fuorviante”, per usare un termine caro a Lucy Riall. Al lettore troppo veloce, infatti, la trattazione può apparire come una vera e propria storia di quel possedimento britannico in Sicilia e della comunità brontese.

In realtà, e questa è la novità e la vera tesi del lavoro, non si possono capire i fatti di Bronte del 1860 su cui tanto si è scritto da 150 anni a questa parte, senza ripercorrere e contestualizzare il dramma intergenerazionale e i rapporti sociali, nazionali e internazionali che ne furono alla base e che continuarono anche dopo quella specifica rivolta, emblematica e mitizzata molto più di altre.

Il volume dedica solo una trentina di pagine su 270 alla ricostruzione della rivolta dell’estate del 1860 in se stessa e alla repressione da parte della colonna garibaldina comandata da Nino Bixio. Il resto è dedicato alla storia della Ducea e della comunità brontese prima e dopo la rivolta del 1860, compresi gli effetti e le numerose rivolte del XIX secolo e sondando anche le innumerevoli interpretazioni storiche del suo significato dopo che essa era avvenuta ed era stata repressa nel sangue. (a destra, la storica Luchy Riall, foto tratta da istitutoduesicilie.blogspot.com)

La ricostruzione è ricca di rigorose e attente osservazioni, di puntuali riferimenti all’immensa e contraddittoria documentazione disponibile allo storico, alla ricerca di una visione obiettiva su quanto accaduto nel 1860, sulla sua genesi e i suoi significati e interpretazioni nel corso della storia. Inoltre, c’è una ricerca di sintesi che, obiettivamente, in questo spinosissimo caso della storia d’Italia, è difficile da raggiungere. Eppure Lucy Riall ci riesce, per quanto umanamente possibile e mantenendo l’interesse e la leggibilità al contempo.

Il volume, oltre alla consueta leggibilità e attrattività delle pubblicazioni di Lucy Riall anche per i non addetti ai lavori, rappresenta certamente una pietra miliare irrinunciabile per capire e imparare serenamente dalla storia e da questa storia in particolare.

Certamente, farà parlare di sé e alimenterà opinioni, critiche, reazioni, soprattutto nel contesto attuale del rinnovato interesse, e politico e di ricerca, sul separatismo siciliano e sul difficile rapporto tra Settentrione e Meridione d’Italia.

Che ci si trovi o no a condividere le conclusioni della storica irlandese, la lettura di questo volume è imprescindibile se si vuole conoscere realmente la vicenda di Bronte e si vogliano dare giudizi reali e non affrettati alle implicazioni, gli errori, il dramma dell’unificazione italiana, la storia della Sicilia contemporanea e i possibili percorsi del suo futuro.

Lasciando ai lettori il piacere, e per alcuni anche il dovere, di leggere il nuovo volume di Lucy Riall, mi sembra giusto dare qui una piccola, incompleta, sicuramente soggettiva, ma forse utile lista delle conclusioni alle quali mi ha portato la lettura del suo libro, oltre a quelle già enunciate. Conclusioni che limito il più possibile al cuore della memoria storica di Bronte contemporanea, e cioè proprio la rivolta del 1860 e la sua repressione da parte dei garibaldini agli ordini di Bixio. (sotto, foto tratta da forum.chatta.it)

Appare evidente che Bixio sacrificò la giustizia all’ordine. O meglio, subordinò la giustizia all’obiettivo di mantenere l’ordine pubblico in un momento in cui, secondo lui, e secondo me a torto, le esigenze militari precedevano quelle socio-politiche.

Lucy Riall scrive a chiare lettere che il generale garibaldino “giustiziò” (ma qui il termine dovrebbe essere assassinò) degli innocenti, evidentemente lasciando liberi i veri colpevoli dei massacri di una rivolta particolarmente violenta e complessa nelle sue motivazioni e intenzioni. Così facendo ristabilì l’ordine, ma a costo di compromettere la fiducia in un cambiamento e quindi i successivi sviluppi del rapporto tra Sicilia e Stato unitario. E proprio perché della repressione ne voleva fare un esempio e ci riuscì anche troppo, finì per dare un esempio di rinnovata ingiustizia ai brontesi e a tutti i siciliani e meridionali.

D’altro canto, il volume di Lucy Riall dimostra come i massacri di massa da parte di Bixio in realtà non ci furono: nell’agosto del 1860, a Bronte, le esecuzioni sommarie di Bixio si “limitarono” a sei innocenti.

Purtroppo, oltre a macchiare la sua coscienza di sei omicidi, Bixio fu l’autore materiale forse più emblematico dell’iperbole lampedusiana del Gattopardo: “Cambiare tutto per non cambiare nulla”. Senza mai citare niente del celeberrimo scrittore siciliano, Lucy Riall ne avvalora nel complesso la tesi (o per lo meno una parte), soprattutto quando ricorda l’estrema contraddizione della spedizione garibaldina di voler trovare come alleati in Sicilia i contadini come i baroni, partendo da un’idea liberale e nazionalista sostenuta (e di cui si giovarono secondo l’autrice) soprattutto dai borghesi. Se ne avvantaggiarono molte, ma non tutte, le locali fazioni di borghesi nelle varie località e nei piccoli mondi dell’oceano di colline siciliano, per lo meno quelli più rapaci e cinici, perfettamente identificabili nel lampedusiano “Sedara” di turno.

Il modo di governare dello Stato unitario confermò quell’errore iniziale, anche perché in quei tempi questo ci si poteva aspettare in quel contesto e in quelle condizioni. La Sicilia post unificazione fu governata sotto la legge marziale, stavolta estesa a tutta l’Isola e non solo al territorio di Bronte. Per lunghi anni la Sicilia fu teatro di una vera e propria guerra civile. Con la scusa della lotta al “brigantaggio” la repressione operata dai generali casa Savoia fu terribile.

La repressione diventò particolarmente feroce e illiberale dopo la rivolta di Palermo del 1866 (La rivolta del Sette e mezzo) e raggiunse un dramma epocale con la tragedia della soppressione dei Fasci siciliani (la prima rivoluzione socialista in Sicilia a scala regionale) dei primi anni del 1890.

Insomma, è confermata la tesi, se ce ne fosse stato bisogno, che la situazione com’era sfuggita di mano ai Borboni tra il 1848 e il 1860, sfuggì di mano anche all’Italia unita: reazioni violente a rivolte di popolo, inevitabilmente provocarono ulteriori azioni violente, in una lunga coda di tragedie del mondo contadino e popolare siciliano dominato quasi esclusivamente con la forza dall’Italia unita, fino a quando l’unica soluzione possibile fu attuata dallo stesso popolo siciliano: l’emigrazione di massa oltreoceano della fine del secolo XIX, inizio XX.

Lucy Riall dimostra che il possedimento inglese a Bronte, la Ducea, e i suoi proprietari, svolsero un ruolo molto meno importante di quanto si sia detto in passato. Ma dimostra anche che la presenza stessa degli inglesi provocò, probabilmente loro malgrado, ulteriori, esplosive, incomprensioni che influirono nel fare di Bronte un caso emblematico.

Mi limito a questa breve lista di conclusioni, mie, scaturite dalla mia soggettiva maniera di leggere il volume, non solo per evidenti motivi di spazio, ma perché è mia convinzione che la lettura del nuovo lavoro di Lucy Riall e la sua comprensione siano alla base di ogni ulteriore ricerca e giudizio sull’argomento. E siano anche alla base di una consapevole scelta strategica dal punto di vista politico odierno, provando a ricercare e ammettere la realtà e la storia dei fatti, il più possibile oggettiva, anche quando “non ci conviene” (in realtà conviene sempre), prima di operare una scelta.

Per rafforzare questo concetto, mi pare doveroso e utile citare una considerazione fondamentale scritta da Lucy Riall nel suo volume: “Il modo di scrivere la storia è ovunque influenzato dai miti e dalle lotte del presente, e il conflitto per il controllo della memoria nell’Italia contemporanea non è certo un caso unico. In pochi luoghi però l’uso politico della storia si evidenzia in modo più esplicito che a Bronte.” (in Lucy Riall. “La rivolta. Bronte 1860”, Editori Laterza, 2012, pag. 258).

 

 

Gabriele Bonafede

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