Il calcio disegna a volte traiettorie imprevedibili ma, al di là di tutto, una squadra come il Palermo proiettata verso il traguardo della massima serie non può non battere in casa il Padova fanalino di coda del torneo e condannato ormai alla serie C
Nell’uovo di Pasqua c’è l’amara sorpresa I rosa frenano nella corsa verso la A diretta
Eccola la sorpresa presente nell’uovo di Pasqua rosanero. Dalla custodia che si trovava all’interno dell’uovo scartato ieri sera nel giorno di Pasquetta è uscito al Barbera un pareggio dal sapore amaro (1-1) contro il Padova ultimo in classifica. Un risultato che, complice la vittoria ottenuta dal Lecce a Perugia, rallenta la corsa dei rosanero verso la promozione diretta. Nel calcio non bisogna mai dare nulla per scontato ma, a prescindere dalle insidie che nasconde ogni partita, obiettivamente era difficile immaginare una frenata della compagine di Stellone, proiettata verso un traguardo visibile in fondo al rettilineo e galvanizzata oltretutto dalle due affermazioni consecutive ottenute negli scontri diretti contro Verona e Benevento. I fischi, legittimi, da parte dei tifosi (non tutti) al termine dell’incontro sono l’effetto sonoro dell’amarezza e della frustrazione di chi, pur sapendo che il calcio non è una scienza esatta e che ogni match va giocato in campo e non sulla carta, fatica ad accettare un mancato successo contro il fanalino di coda del torneo, condannato ormai alla retrocessione in serie C.
Con tutto il rispetto per il Padova, da elogiare per la dignità con cui ha affrontato una big del campionato e per la prova coraggiosa offerta nel primo tempo, una squadra come il Palermo che vuole e che deve andare in serie A non può non vincere tra le mura amiche contro i biancoscudati. Al di là degli episodi (e da un certo punto di vista ai rosa è andata anche bene se si considera che il portiere Brignoli ha evitato guai peggiori parando al 41′ del primo tempo un rigore calciato molto male da Capello) e delle pieghe imprevedibili che può prendere una gara, in un modo o nell’altro i rosanero avrebbero dovuto conquistare l’intera posta in palio. Lo imponeva la logica (Davide ha fermato Golia ma si tratta comunque di un’eccezione) e un turno teoricamente favorevole che la formazione di Stellone, invece, non ha saputo sfruttare. Il mancato successo contro i veneti, nell’ambito di una sfida circondata a livello ambientale da un’atmosfera all’insegna dell’armonia in virtù del gemellaggio tra le tifoserie nato nel 1983 (e celebrato all’inizio della gara dagli ultras della Curva Nord Superiore con una coreografia ad hoc e il maxi-striscione «Oltre la distanza, rispetto e fratellanza»), ha detto alcune cose.
Ha confermato, innanzitutto, che l’undici di Stellone fatica contro le squadre di bassa classifica come avevano suggerito sia i pareggi interni contro Venezia, Livorno e Foggia rimediati in questo campionato sia l’anno scorso i due punti persi con il Cesena. Sempre in casa e in un momento chiave della stagione. E ha ribadito, inoltre, che il Palermo ha dei limiti in termini di carattere e di personalità che si trascina ormai da un po’ di tempo. Debolezze di un gruppo composto da diversi giocatori che, non essendo abituati a vincere, non possono avere la vittoria nel proprio dna. E l’assenza dello squalificato Jajalo, anche se si è fatta sentire trattandosi di un giocatore che a centrocampo sa dettare i tempi della manovra e prendere per mano il resto dei compagni (Haas ha caratteristiche diverse e non ha brillato in un ruolo che non è il suo naturale) non deve rappresentare un alibi. L’inaffidabilità e la tendenza all’autolesionismo dei rosanero sono dei leitmotiv svincolati dalla presenza o meno del singolo. Non è in discussione l’impegno o la validità di certe risorse emotive che più di una volta (come a Benevento la scorsa settimana) il gruppo ha saputo mostrare. Il tallone d’Achille è la testa, è la fragilità mentale di una squadra che, pur avendo dei valori, non riesce a compiere il definitivo salto di qualità e continua a steccare gli appuntamenti potenzialmente decisivi.
Non basta creare un buon numero di occasioni (vicino al gol in un paio di circostanze l’attaccante Moreo, sfortunato al 22’ del primo tempo in occasione di un rasoterra che ha lambito il palo) o proporsi con un atteggiamento tattico spregiudicato (l’iniziale 4-3-1-2 con Falletti mezzala sinistra nella ripresa si è trasformato in un 4-2-4 a trazione anteriore nel momento in cui è entrato Puscas al posto di Haas) quando, alla base, manca la mentalità. E quando non c’è traccia di quella lucidità (non è un bel segnale, a questo proposito, il fatto che nel post-partita in casa Palermo non abbia parlato nessun tesserato) necessaria per mantenere la situazione sotto controllo e gestire gli imprevisti con ordine e raziocinio. Vincendo le prossime quattro gare il Palermo sarebbe in A. E’ un dato di fatto ma una squadra del genere, bravissima a complicarsi la vita con delle ingenuità evitabili (il tap-in vincente di Pulzetti arrivato subito dopo il momentaneo vantaggio ne è una conferma) e condizionata dal rendimento altalenante di giocatori troppo discontinui (Trajkovski, per fare un esempio, dopo il gol propiziato da una deviazione di Ceccaroni non ha mai prodotto giocate funzionali alle esigenze del collettivo), che tipo di garanzie può dare? E facendosi del male da sola come può legittimare le proprie ambizioni?