Nelle isole Fiji, nel silenzio generale, è andato in scena un colpo di Stato

DIETRO LA BELLEZZA DI UN LUOGO INCANTEVOLE SI CELA LA FINE DELLA LIBERTA’ E LA COSTITUZIONE ABROGATA

Nei giorni scorsi, nelle isole Fiji, si sono svolte le prime elezioni democratiche (o presunte tali) dopo otto anni. Fiji è famosa per le sue spiagge di sabbia bianca, le acque limpide, le palme e il sole. Da molti anni però la situazione è ben diversa: dietro la bellezza dell’isola si cela trova una realtà amara fatta di regimi dittatoriali, di peggioramento di salari e condizioni per i lavoratori, di libertà di parola soffocata e di una Costituzione abrogata. Oltre il 60 per cento dei salariati Fiji vive sotto la soglia di povertà, mentre il costo della vita è alle stelle.

Una situazione che è andata avanti così per ben otto anni (e senza che le autorità internazionali avessero più di tanto da dire). Dal 2006, quando il commodoro Josaia Bainimarama Vorege, detto «Frank», guidò un colpo di Stato e rovesciò il governo del primo ministro Laisenia Qarase (al suo secondo mandato nonostante le accuse di corruzione). La goccia che aveva fatto traboccare il vaso, era stata la proposta del governo di concedere l’amnistia a cinque nazionalisti che avevano tentato un altro colpo di stato contro un governo guidato dalla minoranza etnica indiana. Il tentativo era fallito e Qarase, per evitare la presa del potere da parte di Bainimarana, aveva richiesto l’invio di truppe australiane (rifiutato, però, dal primo ministro australiano John Howard). Gli scontri durarono anni (l’unico intervento del nostro governo fu invitare i nostri connazionali a lasciare il Paese) fino a quando, nel 2010, Bainimarana annunciò di aver preso il pieno controllo del Paese.

Da allora il suo è stato un governo duro e autoritario che ha portato molti Paesi (come la Nuova Zelanda) ad interrompere i rapporti diplomatici con le Fiji. Un governo, quello del commodoro, caratterizzato da una forte centralizzazione celata dietro una finta democrazia come quella di pubblicare sul FijiTimes un annuncio per la ricerca di ministri.

Verso la fine dello scorso anno, un gruppo di esperti esterni aveva proposto una nuova Costituzione. Invito al quale i golpisti hanno risposto proponendo ed approvando in tempi brevissimi una nuova Costituzione anche se non priva di polemiche. Come quelle avanzate Human Rights Watch, che ha denunciato l’inserimento nella Costituzione delle Fiji della grazia per tutti gli abusi commessi durante i passati colpi di stato, concedendo così immunità totale ai comandanti dell’esercito attualmente al governo. Nessuna altra organizzazione ha avuto niente da dire e così la nuova Costituzione è stata approvata. La nuova Costituzione (la quarta dal 1970) ha aperto finalmente le porte del Paese a nuove elezioni.

Solo dopo questa misura il governo neozelandese aveva deciso di ridurre le sanzioni nei confronti del Paese e incrementare gli aiuti alla popolazione.

Il 17 settembre 2014 gli elettori delle Fiji sono stati chiamati alle urne per eleggere il primo Parlamento democratico dopo otto anni. 591 mila elettori hanno dovuto scegliere fra 262 candidati di sette partiti.

Grande favorito naturalmente il partito di chi, negli ultimi otto anni, ha controllato le Fiji con le armi. E i risultati non lo hanno deluso: il partito di Voreqe Bainimarama ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti, mentre il suo rivale, il partito Sodelpa, è riuscito ad avere meno di un terzo delle preferenze. Un margine che permetterà al dittatore uscente di continuare a governare il Paese.

Come in Scozia la scorsa settimana L’entusiasmo delle migliaia di elettori (e della comunità internazionale) che speravano di aver che, con regolari elezioni, si sarebbe concluso più di un quarto di secolo di disordini politici, si è spento. L’unico a non essere sorpreso del proprio successo è stato Bainimarama: nonostante i suoi modi dittatoriali il nuovo “leader democratico” è abbastanza popolare nelle isole Fiji, grazie ad alcuni programmi sociali, all’aumento della spesa in infrastrutture e ad una cura della propria immagine che farebbe impallidire molti leader occidentali. E grazie ai risultati delle elezioni la sua popolarità potrebbe crescere ulteriormente. Oltre a far cessare le sanzioni internazionali è stato previsto, infatti, il ritorno a pieno titolo nel gruppo delle nazioni del Commonwealth.

Secondo i suoi sostenitori la popolarità di Bainimarama è la diretta conseguenza di un lavoro ben fatto. Per contro, i suoi oppositori accusano lui e gli organismi internazionali di legittimare in questo modo il suo potere e gli anni di violazioni dei diritti umani. Secondo alcuni Bainimarama sarebbe colpevole di torture e repressioni, di aver impedito la libertà di stampa e di controllare i media del Paese. Senza contare le modifiche apportate alla Costituzione e finalizzate a garantire a lui e agli altri golpisti l’immunità per i reati commessi.

Evidentemente requisiti indispensabili per essere riconosciuto tra i leader mondiali. Come quello di fare promesse e non mantenerle. Nel 2010, parlando al Dawadamu, a Nanukula nella provincia di Ra, Bainimarama promise che sarebbe andato in pensione nel 2014. Molti pensarono che volesse ritirarsi nell’anno in cui si sarebbero svolte le prime elezioni democratiche. Nessuno, allora, pensò che il commodoro, intendeva dire che a finire era la sua carriera come militare, ma che avrebbe cominciato una nuova professione: quella di presidente.

 

 


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