Storia della Cesame, una delle imprese manifatturiere più importanti di Catania tra vecchi splendori, attuali fallimenti e molti dubbi ancora da sciogliere. Un fiore appassito della 'Milano del Sud'
‘Nel limbo da quattro anni’
Figlia di quel boom economico che tutta l’Italia ha conosciuto negli anni Cinquanta e Sessanta, la Cesame, impresa leader nella produzione di ceramiche da bagno e fiore all’occhiello dell’industria catanese, ha avuto il suo massimo splendore durante gli anni Ottanta e Novanta, diventando un’azienda dalla fama internazionale per qualità e design. Ma alle soglie del nuovo millennio qualcosa va storto e porta l’azienda al fallimento. Il mancato rinnovamento tecnologico, organizzativo e dirigenziale segna l’inizio della fine. Una parabola incredibile che oggi sembra scendere irrimediabilmente a picco.
Sono tanti i perché che ancora aspettano una risposta. Proviamo a darne qualcuna insieme a Francesco Arena, rappresentante sindacale unitario della FILCEM-CGIL di Catania.
“Nel 2004 ha inizio la vera e propria crisi con il fallimento – ci spiega Arena – Ma è con l’intervento dello Stato e grazie agli aiuti della cosiddetta “Legge Prodi-bis” ( ovvero il decreto legislativo n. 270 del 8 luglio 1999 e successive modifiche e integrazioni, ndr) che si riesce a rimettere l’azienda sul mercato”. Eliminati i debiti e snellita l’azienda di 165 operai, la Cesame passa attraverso un’asta pubblica. E qui rinascono i problemi. Secondo Arena, infatti, “Non si capisce perché si sia presentato solo un compratore e, soprattutto, un operatore finanziario senza un know-how del settore manifatturiero”. Infatti, da lì a poco l’azienda si indebita nuovamente provocando la revoca del mandato al dottor Santoro, da parte del Ministero per le Attività Produttive per inadempimento imprenditoriale ed economico.
Ma la via crucis della Cesame è lunga e contorta. Nell’aprile del 2007 si ripete il copione precedente. Il Ministero passa l’azienda a un altro gruppo imprenditoriale, il Consorzio Nazionale Multiservizi, ma la sostanza non cambia: “Siamo arrivati al blocco della produzione da dicembre 2007 e la mancata erogazione degli stipendi da gennaio 2008 ad oggi provocando danni irreversibili al marchio e alla rete commerciale dell’azienda catanese”.
Secondo le parole del sindacalista catanese “Catania sta per perdere una delle poche realtà produttive del suo territorio con un danno inestimabile dal punto di vista umano, sociale ed economico anche per le famiglie dei 130 operai, di cui l’80% fa parte di famiglie monoreddito”. Ma non finisce qui: “Ad aggravare la situazione dei lavoratori è la mancata attivazione degli ammortizzatori sociali ovvero della Cassa Integrazione Straordinaria. Tutto ciò corredato da motivi ufficiali poco chiari”.
La politica sembra aver mosso qualche piccolo passo. Infatti, dopo una manifestazione dei lavoratori di fronte alla Prefettura, è entrata in scena la Regione Siciliana nelle vesti dell’Assessore all’Industria Pippo Gianni che ha esposto una serie di interventi per salvare l’azienda sia sul breve che sul lungo periodo. Tra questi, corsi di qualificazione che permetterebbero ai lavoratori ultra-quarantenni di essere rimessi parzialmente nel mercato del lavoro. “Ma ad oggi – sottolinea Arena – non abbiamo ricevuto nessun riscontro dell’operato dell’assessore”..
I lavoratori ovviamente attendono, ma senza particolare speranza nel futuro: “Data la complessità degli avvenimenti, i dipendenti si guardano un po’ da tutti. Purtroppo pare non essere chiaro chi sia il nemico da combattere – afferma il sindacalista della Cgil – Sarebbe semplice dire che sia l’attuale proprietà dell’azienda, ma, in realtà, ci sono troppi occhi puntati e troppi interessi sul sito aziendale. L’idea del prelievo dell’immobile come sostegno logistico e commerciale del futuro interporto di Catania potrebbe fare gola a qualcuno”.
Salvatore Blanco, 48 anni, padre di due figli minorenni, operaio specializzato colatore nel reparto produzione della Cesame oggi non è né operaio né disoccupato né cassaintegrato:“Lavoro per l’azienda da 20 anni – ci racconta Salvatore – e oggi mi ritrovo a fare dei lavoretti grazie al sostegno di alcuni amici”. Fuori dall’azienda, però, è tutta un’altra storia. “C’è chi se ne approfitta e ti paga due soldi conoscendo la tua situazione”.
Salvatore ci racconta che gli operai, in attesa di una risposta da parte delle istituzioni, organizzano ogni giorno un presidio di fronte alla fabbrica per scongiurare i furti di cavi di rame per l’elettricità e di pezzi di ceramica all’interno dell’azienda; in un recente passato è successo anche questo: “Tutta la famiglia risente della incertezza riguardo al mio posto di lavoro.. Tra l’altro, dopo 20 anni, sento la fabbrica come parte integrante della mia vita. Quando vedo i miei ex colleghi disoccupati, le lungaggini burocratiche e i furti in azienda è come se stessero facendo del male a me stesso”.