Secondo i dati di uno studio condotto dall'Unicef, in Sicilia quasi quattro giovani su dieci attualmente non studiano e non lavorano. È stato così anche per Paolo, rimasto a casa dai 16 ai 19 anni, un periodo «bruttissimo in cui ero sempre nervoso»
Neet, dietro il record negativo della Sicilia «I miei tre anni di calvario passati a casa»
Paolo ha 24 anni, vive a Palermo, e lavora da tre anni nel settore dei servizi. Fino alla firma del primo contratto è stato un Neet, uno dei tantissimi giovani che non studiano e non lavorano descritti dal rapporto dell’Unicef Il silenzio dei neet. Giovani in bilico tra rinuncia e desiderio. Uno studio realizzato dall’organizzazione a partire dagli ultimi dati Istat del 2018, e lanciato nell’ambito del progetto Neet Equity, selezionato dal dipartimento per le Politiche giovanili e il servizio civile.
In Sicilia, secondo quello studio, sarebbero il 38,6 per cento della popolazione i giovani che hanno interrotto o finito gli studi e che attualmente non stanno cercando lavoro. Paolo era uno di loro, almeno fino a qualche anno fa. Finite le scuole medie, si era anche iscritto alle superiori «non senza sacrifici da parte dei miei genitori – racconta a MeridioNews – perché comunque significa sostenere dei costi importanti. Poi per vicende familiari mi sono ritirato e da allora è iniziato il calvario».
Qualche lavoretto saltuario, il volantinaggio in centro il sabato pomeriggio, le consegne a domicilio. Ma, di fatto, dai 16 ai 19 anni Paolo non ha fatto nulla. «Avevo qualche amico nella mia stessa situazione – racconta – qualcuno invece aveva trovato lavoro, mentre altri la mattina li vedevo, zaino in spalla, andare a scuola. Lo ricordo come un periodo bruttissimo e lunghissimo, davvero una sorta di calvario. Anche perché io sono un ragazzo che fermo non ci sa stare. E quindi – continua – mi sono dato al volontariato ed è stata una cosa che mi ha permesso di calmarmi. Ecco, se c’è una cosa che non cambiava mai in quei quasi tre anni è che ero sempre molto nervoso, quando oggi so che non avevo nessuna colpa per ritrovarmi in quella situazione frustrante».
Oggi Paolo lavora, si occupa di servizi e ammette che la sua vita «è cambiata nelle piccole cose, che poi sono anche quelle fondamentali. Oggi pensare di uscire il sabato sera con gli amici non è più fonte di stress – ammette – non devo chiedere i soldi a casa o inventare una scusa agli amici per non andare. E poi c’è il calcio, la mia grande passione. Ma anche lì, ci sono dei costi da sostenere. Oggi ho il mio stipendio alla fine del mese, posso permettermi di mantenere le mie passioni».
Giovani pieni di energie, i Paolo in giro per la Sicilia che aspettano la loro occasione e preferiscono la frustrazione del non fare nulla allo sfruttamento di una giornata di lavoro retribuita con pochi spicci. «Un errore che non bisogna fare – dice il presidente della commissione Lavoro all’Ars, Luca Sammartino – è pensare che questi giovani siano relegati esclusivamente nelle periferie delle grandi città, che la questione sia legata alle fasce meno abbienti o ai quartieri più emarginati. Perché al contrario il tema riguarda da vicino tutta la Sicilia rurale, l’entroterra che si sta svuotando e che stenta a offrire prospettive ai propri giovani».
E se un’analisi poco approfondita porterebbe a legare una percentuale così alta di Neet alla diffusa pratica del lavoro nero nell’Isola, a frenare su questo assioma è il segretario generale della Cgil Sicilia, Alfio Mannino. «La questione del lavoro nero è vera solo in parte – sottolinea – perché la verità è che c’è troppa gente che è sfiduciata e non è neanche in cerca di lavoro. Un esempio plastico è il riscontro che, come sindacato, abbiamo sugli incidenti sul lavoro: accade di frequente di dovere assistere persone che si sono infortunati su un luogo di lavoro in cui non risultavano, perché lavoravano in nero. Ma si tratta quasi sempre di adulti, tra i 40 e i 50 anni. Non sono ragazzi. Il tema vero è che in Sicilia vige ancora un vecchio apparato produttivo che non sa parlare ai giovani, che non è attrattivo, che non ricerca intelligenze. Con un settore dei servizi che richiede lavoro dequalificato e sottopagato».
«Senza contare – aggiunge ancora Mariangela Di Gangi, presidente del Laboratorio Zen Insieme, che ospita un Punto Luce di Save the Children – che tanto il sistema dell’istruzione, tanto quello della formazione professionale non hanno connessione col mondo del lavoro, non seguono un’idea comune di sviluppo dei territori».
Le possibili soluzioni? All’Assemblea Regionale Siciliana sarà incardinato a breve il disegno di legge, già approvato dalla commissione Lavoro, che riforma il sistema della formazione professionale nell’Isola, a partire proprio da una maggiore connessione tra le figure professionali ricercate dalle imprese e l’offerta formativa da rivolgere ai ragazzi.
«E poi è indispensabile – aggiunge il sindacalista Mannino – la riconversione ecologica del nostro apparato produttivo, al fianco dello sblocco del turn over nella pubblica amministrazione. E poi c’è il tema che riguarda le donne, anche giovani, perché non abbiamo welfare, non abbiamo politiche per l’infanzia. Non stiamo facilitando in alcun modo l’accesso al mondo del lavoro per le giovani mamme siciliane».