Nebrodi, anche i suini neri macellati clandestinamente «Sono specie protetta, ma venivano rubati o catturati»

Non solo bovini infetti. Nel corso dell’indagine Gamma interferon, gli investigatori della polizia del commissariato di Sant’Agata di Militello hanno scoperto anche allevamenti di suini neri che venivano catturati nel parco dei Nebrodi. Il tutto illegalmente perché il suino nero è una specie protetta, in quanto a rischio estinzione. Per aggirare il divieto, gli indagati avrebbero fatto in modo che gli animali risultassero nati in cattività, «regolarizzati tramite la simulazione di nuove nascite o con l’invio al macello». La vicinanza in allevamento con animali affetti da tubercolosi avrebbe poi fatto il resto, rendendo infetti anche i suini. L’indagine, che mercoledì ha portato all’arresto di undici persone, è scattata dopo numerose denunce per furti di animali registrati nel territorio tra Cesarò e Tortorici

Gli animali, una volta catturati, sarebbero stati macellati clandestinamente o venduti vivi ad aziende compiacenti, specializzate nel commercio di prodotti a base di suino nero. Un commercio dai risvolti economici da non sottovalutare, perché «il loro possesso permette di accedere a rilevanti contributi da parte della Comunità europea», ricorda il gip Andrea La Spada. Anche in questo caso, fondamentale sarebbe stato il ruolo di alcuni veterinari, oggi indagati dalla procura di Patti. «Per giustificare una filiera legale le aziende, in parte, effettuavano presso i mattatoi una macellazione regolare di suini falsamente identificati come animali nati in azienda, gli unici per legge a essere sottoposti a controlli sanitari – si legge nelle carte -. La gran parte prendeva invece la via della clandestinità, con macellazioni in totale assenza di controlli sanitari, soprattutto di quelli relativi alla visita post mortem, alle malattie infettive riscontrabili visivamente, tra cui la tubercolosi». 

Come nel caso dei bovini, anche per i suini neri la carne avrebbe concluso il suo percorso in canali legali, con un costo di produzione pari a zero in caso di animali rubati. In gioco dopo sarebbero entrate le macellerie compiacenti. Nell’ordinanza ne vengono citate due: Leggio e La Fiumara. Qui, scrive il gip, «la carne ottenuta dalla macellazione clandestina di capi rubati veniva messa in commercio fresca o sotto forma di insaccati, privi di tracciabilità ed etichettatura». «Altamente pericolosi per la salute dell’ignaro consumatore – continua il giudice -. Gli insaccati non subiscono trattamenti termici, gli unici in grado di uccidere la tubercolosi». A questo rischio si aggiunge quello dell’utilizzo del suino nero tramite «macellazione familiare». 

Secondo gli investigatori, il business sarebbe stato gestito da un gruppo con a capo Nicolino Gioitta, allevatore della zona di Alcara Li Fusi e operante sul versante di Cesarò, dedito prevalentemente a furti e al bracconaggio di suini neri, selvatici e non, all’interno dell’area protetta del Parco dei Nebrodi. Ma l’organizzazione sarebbe stata più complessa. A preoccupare gli inquirenti è soprattutto il presunto coinvolgimento dei veterinari dell’Asp di Sant’Agata Militello: il responsabile della struttura Antonino Ravì Pinto e i veterinari ambulatoriali Fortunata Grasso, Antonino Calanni e Sebastiano Calanni Runzo. Eventuale complicità che renderebbe «socialmente più pericolosa» la vicenda. Oltre al pericolo per la salute dei cittadini, l’operato dei responsabili sanitari – intercettati più volte con alcuni allevatori – avrebbe provocato «l’inefficacia dei piani di risanamento delle malattie infettive, quali brucellosi e tubercolosi». Stando all’analisi statistica della Procura, i veterinari avrebbero negli anni «alterato e falsificato lo stato sanitario delle aziende di allevamento, facendo risultare una diminuzione dell’infezione dal 2013 al 2014, omettendo di denunciare la presenza di animali infetti e falsificando gli esiti diagnostici».

Gioitta si sarebbe servito, per l’individuazione e per il reperimento degli animali, del fratello Carmelo, di Vincenzo Maenza, di Salvatore Artino e di Nicola Faraci, tutti allevatori della zona. Il gruppo, secondo gli investigatori, si sarebbe servito poi del comandante dei vigili urbani di Alcara Li Fusi, Nicolino Oriti. «Particolarmente vicino a Gioitta, lo agevolava rivelandogli preventivamente eventuali attività di controllo effettuate durante i periodi di divieto di pascolo sui terreni comunali». Nonostante toccasse proprio a lui vigilare sulla possibilità per gli allevatori di sfruttare i terreni pubblici solo nei periodi stabiliti nelle ordinanze del sindaco.


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