Il titolare dell'inchiesta sulla tragedia in mare che avrebbe causato circa 800 morti, fa il punto delle indagini e torna sulla questione del recupero del relitto a largo della Libia. «Confido che possa essere fatto anche in relazione alle disponibilità che ci sono state date». La palla adesso passa al premier
Naufragio con 800 morti, identificate vittime Per recupero cadaveri si attende il governo
Una conferenza stampa per fare il punto sulle indagini del naufragio del 18 aprile scorso in cui trapelano emozioni, difficoltà e la volontà di fare chiarezza su alcuni punti. Il procuratore di Catania Giovanni Salvi ha subito esordito ammettendo lo stato d’animo che ha contraddistinto le giornate appena trascorse. «Sono stato abbastanza preoccupato – spiega – perchè la conferma da parte del tribunale non era così scontata. Sono stati giorni difficili in attesa di verificare se la nostra tesi sarebbe stata accolta». Il riferimento del magistrato pugliese, titolare dell’inchiesta, è alla decisione dei giudici etnei che hanno confermato, dopo dodici incidenti probatori, le misure cautelari per i due indiziati: il presunto scafista tunisino Mohammed Ali Malek e l’aiutante siriano Mahmud Bikhit. Responsabili, secondo l’accusa, della strage in mare a largo delle coste libiche che ha causato circa 800 morti. Dopo il deposito delle ultime trascrizioni dei testimoni, in tempi brevi, si dovrebbe passare al processo.
A tenere banco è però il nodo, con conseguente polemica, riguardante il recupero del relitto con il suo carico di vittime. Il natante dopo essere stato individuato a 77 miglia dalla Libia, tra le isole di Lampedusa e Malta, a una profondità di oltre 300 metri, è stato monitorato da alcuni sofisticati mezzi sottomarini. Salvi, intervistato nei giorni scorsi dal quotidiano La Repubblica, aveva spiegato come il recupero fosse «inutile alle indagini» oltre a comportare «costi enormi». Una scelta che da un lato aveva passato il testimone al governo o ad «altri per motivi umanitari» e dall’altro suscitato un coro d’indignazione da parte di numerose associazioni che si occupano di migranti. «Si tratta di un atto disumano e barbaro – la replica di padre Camillo Ripamonti del centro Astalli commentando la decisione – Passeremo alla storia come una civiltà barbara che per motivi economici non seppellisce i morti».
«Ripeto – è stato il commento oggi del procuratore – che non è possibile procedere al recupero nell’ambito del procedimento però confido che possa comunque avvenire in ragione alle disponibilità che ci sono state date. Sono scelte rapide da fare in breve tempo». Nonostante il magistrato preferisca non rivelare il suo interlocutore è chiaro che la decisione spetterà al governo di Matteo Renzi. Il ministro dell’Interno Angelino Alfano, commentando l’intervista di Salvi, aveva invitato a «non strumentalizzare la decisione», lasciando comunque spazio a delle possibilità, «questo – aveva affermato – non toglie che il governo possa fare tutte le ricerche che gli competono in quanto governo e non dal punto di vista giudiziario».
In attesa di conoscere l’esito di questa vicenda, le ultime novità riguardano l’identificazione di alcune vittime recuperate in mare dopo la collisione con il mercantile king jacob. Inizialmente le 24 salme trasferite a Malta non erano state identificate dai 26 superstiti, a cui vanno aggiunti i due indagati che però non sono stati coinvolti nelle operazioni di riconoscimento. Adesso, secondo quanto riferito da Salvi, le nuove procedure «hanno portato all’identificazione di un fratello e di un amico dei superstiti mentre altri due sono stati individuati genericamente con i nominativi». Numeri a cui vanno aggiunti altre due vittime che sono state riconosciute dai sopravvissuti, grazie a delle fotografie che i parenti hanno inoltrato alla procura etnea. «Si tratta di un minore – spiega il magistrato Andrea Bonomo – e di un cittadino etiope».
Le richieste tramite l’indirizzo di posta elettronica attivato dagli uffici di piazza Verga tuttavia sono state decisamente basse se rapportate al numero delle vittime. «Meno di dieci». Nessuna comunicazione da parte dei parenti sarebbe invece arrivata alla Croce Rossa. «Non ci hanno avvertito in tal senso», evidenzia Salvi. Parole di replica alle dichiarazioni di Giovanna Di Benedetto di Save the Children, secondo cui «sono ancora numerosi i familiari che chiedono notizie dei propri cari tramite il numero telefonico messo a disposizione».