La celebre Natività di Caravaggio rubata a Palermo, nell’Oratorio di San Lorenzo, nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969 non è andata distrutta: il capolavoro di Michelangelo Merisi si trova da allora fuori dall’Italia, in uno o più Paesi dentro e fuori l’Europa a causa della probabile scomposizione dell’opera in più parti, effettuata per mimetizzarne la provenienza furtiva e massimizzare i proventi derivanti dalla vendita non di uno ma di più quadri, ciascuno parte di un capolavoro assoluto. Questa la conclusione alla quale è arrivata la Commissione parlamentare antimafia della passata legislatura, presieduta da Rosy Bindi, che ha rilanciato le ricerche sul furto del capolavoro.
La Commissione, al termine del suo lavoro, è convinta che l’opera non sia andata perduta, come si riteneva in precedenza in base alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. «Pertanto, a livello internazionale – osserva Bindi nella relazione finale sul lavoro svolto dalla Commissione antimafia – occorrerà una forte cooperazione giudiziaria e intergovernativa per seguirne le tracce e auspicabilmente arrivare un giorno a ritrovarla e restituirla alla città di Palermo, alla nazione e al mondo della cultura». Nel documento l’Antimafia spiega che sono stati individuati sia gli esecutori materiali sia coloro che hanno gestito le fasi successive della custodia e del trasporto dell’opera, e della successiva vendita. Dalle indagini è emerso che è stato senza dubbio un «furto di mafia»: convergenti dichiarazioni rese alla Commissione dai collaboratori di giustizia Gaetano Grado e Francesco Marino Mannoia hanno chiarito che il furto maturò nell’ambiente di piccoli criminali, ma che l’importanza del quadro, e il suo enorme valore, indussero i massimi vertici di Cosa nostra a interessarsi immediatamente della vicenda e a provvedere immediatamente a rivendicare l’opera.
La Natività fu quindi consegnata, dopo alcuni rapidi passaggi di mano, prima a Stefano Bontade come capo del mandamento competente per il furto e poi a Gaetano Badalamenti, all’epoca a capo dell’intera organizzazione mafiosa. Al riguardo, l’Antimafia evidenzia la ritrattazione, avvenuta proprio nel corso della recente attività della Commissione, del collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia in merito alla distruzione dell’opera, così come in precedenza dichiarato da lui stesso all’autorità giudiziaria, tra cui allo stesso giudice Giovanni Falcone. Dopo l’avocazione della gestione del furto da parte di Badalamenti, quest’ultimo ne curò in tempi rapidi, già nel 1970, il trasferimento all’estero, verosimilmente in Svizzera.
L’intermediazione nella vendita dell’opera sarebbe stata curata da un fiduciario venuto dalla Svizzera, esperto antiquario, da tempo defunto. Quest’ultimo è stato identificato grazie al riconoscimento fotografico effettuato da parte di uno dei collaboratori di giustizia che lo aveva visto personalmente all’epoca dei fatti. Lo stesso collaboratore ha dichiarato che, in base a quanto appreso da Gaetano Badalamenti, l’opera era stata trasferita in Svizzera a fronte di una grande somma di denaro, pagata in franchi svizzeri, e lì verosimilmente scomposta in sei o otto parti, per essere venduta sul mercato clandestino internazionale. La relazione dell’Antimafia non riferisce ulteriori dettagli sulle indagini, che alla fine della legislatura saranno trasmessi alla magistratura palermitana. Mercoledì 30 maggio la stessa Bindi, nel corso di un convegno a Palermo, illustrerà i risultati dell’inchiesta.
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