Questa notte una persona senza dimora è morta mentre dormiva all’interno di un piccolo locale abbandonato alla Villa Bellini. È morta bruciata viva. Non si sa ancora se l’incendio sia di origine dolosa (uno scherzo idiota finito in tragedia?) o se di natura accidentale. Fatto sta che un’altra persona che viveva nel disagio estremo è dovuta morire nel modo più tragico. Una riflessione va sicuramente fatta sul grado di civiltà di questa nostra Catania ed è utile ribadire ancora una volta che la vita di strada non è una scelta per nessuno e che il percorso verso l’abisso di chi finisce a non avere un tetto è spesso proprio la morte.
Noi della redazione del mensile di strada TeleStrada press, composta proprio da persone senza dimora, ci sentiamo di ribadire che, secondo il nostro parere e la nostra esperienza, il circuito dormitori–mense dei poveri ha già abbondantemente dimostrato la sua inefficacia: intanto non tutti i senzatetto sono in grado di accedervi a causa di patologie varie, tra le quali l’alcolismo o il forte disagio mentale e poi questo datato sistema di accoglienza non fa altro che cronicizzare i danni prodotti dalla vita di strada.
Le soluzioni alternative ci sono: il sistema Housing First per esempio. I principi che guidano questo approccio – e che ribaltano completamente il tradizionale percorso a scalini a cui ci siamo tristemente abituati, evidentemente insufficiente a rispondere alla complessità dell’homelessness, anche perché basato su regole standard troppo rigide – sono: la comprensione del bisogno dell’utente; un supporto che dura per tutto il tempo necessario; accesso ad appartamenti indipendenti situati in diverse zone della città separazione del trattamento dal diritto alla casa; auto-determinazione del soggetto nelle scelte da fare; definizione di un programma di supporto condiviso tra servizio sociale e utente riduzione del danno.
Molti studi nel corso degli ultimi vent’anni hanno dimostrato gli effetti positivi del modello Hf a diversi livelli. L’80 per cento delle persone riesce a mantenere la casa a due anni dall’inserimento del programma di housing first. La riduzione dell’uso di droga o alcol è alta tra le persone che rimangono supportate dal programma. La disponibilità di una casa propria incide positivamente sul benessere psico fisico della persona riducendo le spese per cure mediche e medicinali. L’effetto inclusione sociale è migliorato dalle opportunità che la casa, come luogo di cura di sé, di identità e di appartenenza a una comunità, offre alla persona in housing first.
Sebbene l’inserimento occupazionale rimanga un nodo critico (e anche poco indagato dalla ricerche sull’Hf), alcune ricerche hanno evidenziato come la persona possa auspicare ad un coinvolgimento nel mercato del lavoro grazie ad un processo di auto-stima ed empowerment che l’alloggio può offrire. Infine, molte ricerche si sono concentrate sulla riduzione dei costi di gestione dell’Hf per l’amministrazione pubblica e per il contribuente rispetto allo staircase (sistema a gradini: dormitorio, mensa). Phf infatti non necessita di un’offerta di housing dedicata ma sono sufficienti appartamenti idonei ad ospitare le persone che entrano nel programma, le quali compartecipano al pagamento dell’affitto utilizzando, laddove esiste, una parte del proprio reddito minimo o indennità. Inoltre, l’approccio Hf riduce l’utilizzo di posti letto nei dormitori, ostelli e l’ingresso in pronto soccorso (rappresentando un risparmio del 50 per cento dei costi per l’amministrazione e la sanità pubblica). Infine si abbassa la probabilità di delinquere ed essere arrestati (rappresentando così un risparmio anche per il contribuente).Questo sistema ha garantito un’alta percentuale di successi in Europa e nel nord Italia….ovviamente Catania è a punto zero.
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