Diagnosi del tumore in ritardo: condannato l’ospedale Villa Sofia di Palermo

Un operaio, esposto per anni all’amianto, è morto di tumore con una diagnosi arrivata in ritardo. Giuseppe Canino non ha potuto sapere in tempo la verità sulla propria malattia. Ricoverato all’ospedale Villa Sofia – Cervello di Palermo nel gennaio del 2015, gli fu riscontrato un mesotelioma sarcomatoso, ma il referto istologico non gli venne comunicato. Quella diagnosi arrivò tardi, privandolo della possibilità di scegliere consapevolmente come affrontare gli ultimi mesi di vita.

La condanna per l’azienda sanitaria

Giuseppe Canino è morto di tumore – dieci anni fa – con una diagnosi in ritardo dopo anni di lavoro esposto all’amianto. Oggi, la Corte d’Appello di Palermo ha respinto l’appello dell’azienda ospedaliera e confermato la sua responsabilità. È stato riconosciuto il diritto del paziente a essere informato come parte integrante del diritto alla dignità e all’autodeterminazione personale. Definitiva, infatti, è diventata la decisione del tribunale di Palermo che aveva disposto un risarcimento di 30mila euro in favore della famiglia di Canino per la lesione di questo diritto fondamentale. L’azienda sanitaria, inoltre, è stata condannata a rifondere le spese legali agli eredi – Dorotea Gambino, Luigi e Carmela Canino – per un importo di 6.734 euro, oltre accessori di legge.

La storia di Giuseppe Canino

Giuseppe Canino era un operaio di Fincantieri (già condannata in primo grado al risarcimento del danno). L’uomo è morto il 25 giugno del 2015 dopo una lunga esposizione all’amianto. «È una vicenda che tocca due piani distinti, ma complementari – affermano dall’Osservatorio nazionale amianto (Ona) – Quello umano, che riguarda il valore della verità nella relazione medico-paziente, e quello giuridico, che impone alle strutture sanitarie un dovere chiaro e inderogabile di trasparenza, tempestività e comunicazione». Secondo i giudici, il mancato accesso all’informazione e il ritardo colposo nella diagnosi hanno privato Canino e i suoi familiari della possibilità di vivere con consapevolezza l’ultima fase della malattia. Una condizione che avrebbe impedito scelte personali e terapeutiche che avrebbero potuto rendere più dignitoso quel periodo.

«Questa sentenza è un messaggio di civiltà»

«Questa sentenza non è solo un pronunciamento legale, ma un messaggio di civiltà», sottolinea l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Ona, che assiste la famiglia Canino. «Il diritto a sapere è parte del diritto a vivere con dignità fino all’ultimo istante e riafferma un principio essenziale – aggiunge Bonanni – la tempestività della diagnosi e la corretta informazione sono parte del diritto alla salute». Nel caso di Giuseppe Canino, la diagnosi è arrivata in ritardo. «È una ferita profonda alla dignità umana. Ma questa sentenza – dichiara il presidente dell’Ona – è un precedente che rafforza i diritti dei pazienti. Questa decisione, infatti, riconosce autonoma rilevanza giuridica al diritto all’informazione sanitaria, anche quando il ritardo diagnostico non modifica l’esito clinico. Il principio affermato – conclude Bonanni – è chiaro: non conoscere equivale a essere privati di una parte della propria libertà».


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