MORDI E FUFFI/ Testamento biologico atto II

di Lorenzo Ambrosetti

La mancanza di una legge specifica sul testamento biologico apre problemi grandissimi a cui la letteratura sul tema ha cercato di dare qualche soluzione.

Intanto, gi     ova dire, come il principio della indisponibilità della v ita non possa assurgere in questo campo a metro di valutazione oggettivo delle condotte da seguire.

Il principio della indisponibilità della vita vale soltanto quando si discute della vita altrui e non può in alcun modo essere fatto valere quando la vita è quella del singolo individuo che decide.

Il problema delle interferenze religiose sul diritto di morire quando la vita non appaia più degna di essere vissuta va riguardato alla luce dei principi di uno Stato laico e non confessionale e sovviene, al riguardo, l’art. 2 della nostra Costituzione che prevede espressamente l’inviolabilità dei diritti dell’uomo, rivendicando, in tal modo, le scelte legate all’autonomia della persona.

Non si può in alcun modo dedurre che nel nostro ordinamento giuridico via sia un dovere di curarsi che richiamerebbe logiche autoritarie e nelle quali il cittadino, come tale, sarebbe retrocesso al rango di suddito.

Una legge sulle direttive anticipate di trattamento, si porrebbe così come un logico e coerente svolgimento del principio che attribuisce alla persona interessata il potere di governo sulla propria vita, della quale il morire è parte.

In una lettera scritta il 3 ottobre del 1970 da Paolo VI si legge: “ Pur escludendosi l’eutanasia, ciò non significa autorizzare il medico ad utilizzare tutte le tecniche della sopravvivenza che gli offre una scienza infaticabilmente creatrice. In tali casi non sarebbe una tortura inutile imporre la rianimazione vegetativa nell’ultima fase di una malattia incurabile? Il dovere del medico consiste piuttosto nell’adoperarsi a calmare le sofferenze invece di prolungare più a lungo possibile e con qualunque mezzo e a qualunque condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va verso la conclusione”.

Come si vede, anche la Chiesa cattolica, sembra aver preso posizione contro l’accanimento terapeutico effettuato su alcuni pazienti sottoposti ad idratazione, ventilazione, alimentazione forzata.

Al riguardo, una nuova legge che dovrebbe essere al più presto emanata, non dovrebbe porre alcuna restrizione alle direttive anticipate per quanto riguarda il loro contenuto tipico, nel senso che non si dovrebbe, per esempio, fare alcuna distinzione fra situazioni quali malattia inguaribile stadio terminale, stadio vegetativo permanente.

L’atto personalissimo del soggetto, dovrebbe avere valore vincolante, nel senso che la sua volontà dovrebbe comunque essere rispettata anche se il progresso della scienza medica potesse trovare terapie maggiormente adeguate ma non in grado di assicurare quella qualità della vita che il soggetto si attende dalle stesse.

Il carattere vincolante delle direttive si può ritenere necessario anche per evitare il ricorso al giudice da parte dei familiari del malato, qualora il medico si rifiutasse di dare esecuzione alle direttive del soggetto interessato.

E’ necessario che il ruolo del medico venga assolutamente valorizzato, nel senso che a lui e soltanto a lui, compete l’accertamento della eventuale incapacità tale da determinare l’interruzione di un dato trattamento.

Nel caso in cui si prevedesse l’obiezione di coscienza del medico, sarebbe necessario assicurare nella struttura pubblica o privata in cui il degente si trova ricoverato, la presenza di un medico che dia esecuzione a quanto disposto nelle direttive.

E’ del tutto ovvio che le direttive possano on ogni momento essere revocate da parte della persona interessata.

Quanto alla loro forma giuridica sembra opportuno richiedere l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata.

Tuttavia, per non irrigidire in modo eccessivo la volontà del dichiarante, si potrebbe tenere in considerazione ogni manifestazione di volontà del soggetto interessato, da sottoporre eventualmente, al vaglio di un giudice.

 


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