Una storia tormentata che inchieste e processi riusciranno solo in parte a raccontare. Perché in mezzo restano segreti e accordi sottobanco. Il rischio è che il sistema Montante, come è stato identificato nel gergo giornalistico, possa rigenerarsi con interpreti diversi. Tornando a essere quell’ingranaggio, quasi perfetto, di un meccanismo più complesso. Sullo sfondo, per sempre, resterà Antonello Calogero Montante, l’apostolo dell’antimafia che dalla sua Serradifalco, in provincia di Caltanissetta, era riuscito a scalare i vertici di Confidustria siciliana e nazionale. Nel nome di una svolta legalitaria antiracket degli imprenditori isolani rimasta solo nei proclami, ma capace di fare attirare alla sua corte magistrati, giornalisti e massimi vertici delle istituzioni nazionali. Come l’ex ministero dell’Interno Angelino Alfano che nelle mani di Montante aveva messo lo sterminato tesoro dei beni tolti a Cosa nostra.
L’ultimo capitolo di questa storia – per gli altri è solo questione di tempo – lo hanno scritto i giudici di Caltanissetta. Condannando Montante a 14 anni di carcere nel processo di primo grado per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e accesso abusivo al sistema informatico. Rimane aperto invece il fascicolo con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Di questo e molto altro parlerà oggi pomeriggio il giornalista di La Repubblica Attilio Bolzoni, autore del libro Il padrino dell’antimafia – una cronaca italiana sul potere infetto. Il testo, che segna l’esordio della casa editrice Zolfo, verrà commentato a partire dalle 17 al palazzo della Cultura di Catania. Durante l’incontro organizzazione dall’associazione Antiestorsione di Catania, moderato dal giornalista Mario Barresi, interverranno il procuratore Carmelo Zuccaro, Luigi Gaetti, sottosegretario all’Interno, e Nicola Grassi, dell’associazione Asaec.
Nel libro la storia di Montante, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non passa esclusivamente dagli atti dell’inchiesta. Con una narrazione, spesso in prima persona, che segue invece i passaggi che hanno portato a un articolo, scritto da Bolzoni e Francesco Viviano, che ha segnato lo spartiacque nel declino dell’imprenditore di Serradifalco. Perché dal 9 febbraio 2015, giorno in cui Repubblica raccontava per la prima volta l’inchiesta, nulla è stato più come prima. Al Montante osannato dai libri e in prima linea nel firmare i protocolli di legalità, si è affiancato un quadro fatto di pentiti e accuse. Nei confronti di un personaggio che Bolzoni chiama Al Cafone, abile nel costruirsi un sistema di spionaggio clandestino che ha abbracciato di tutto. Così c’è persino il sospetto che nel calderone siano finite le telefonate – che la Corte costituzionale aveva ordinato di distruggere – tra l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l’ex ministro Nicola Mancino.
Nel Padrino dell’antimafia c’è tanto spazio anche per chi ha fatto parte del cerchio magico di Montante. Ma anche per coloro che con quel gruppo di potere si sono strusciati. Alimentando un sistema che è stato capace di condizionare la vita politica della Regione, indicando assessori e personaggi da collocare nei punti chiave della macchina amministrativa. Ci sono le critiche, senza giri di parole, a don Luigi Ciotti di Libera, ma anche l’analisi di personaggi come Beppe Lumia, ex presidente della commissione parlamentare antimafia storicamente vicino a Montante. Il Padrino dell’antimafia, una storia di pupi e di pupari.
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