Mongibello, sia fuori che dentro Ecco la radiografia al vulcano

Lunghe colonne di cenere scura. Fotografata e condivisa sui social,
la recente attività dell’Etna ha sicuramente ricordato anche ai
cittadini più distratti che quell’ammasso placido adagiato a pochi passi
dal mare non è una montagna ma un vulcano attivo. Una magia che si rinnova a ogni pennacchio e che suscita sempre domande e dubbi, specie a distanza così ravvicinata dall’evento sismico di dicembre 2018.
Nonostante il comportamento tipico dell’Etna non sia caratterizzato da
eventi catastrofici (si pensi al Vesuvio o a Stromboli), rimane
comunque impossibile vedere cosa accada al suo interno o prevedere cosa
accadrà.

Esiste un modo che ci permetta almeno di capirne qualcosa di più?
La
risposta, comune a tutti gli ambiti della fisica, è sì. E l’aiuto ci
viene da una branca forse non proprio intuitiva, ovvero l’archeologia.
Tutto nasce dalle storiche perplessità riguardanti la struttura delle
piramidi di El Giza, che hanno attanagliato gli esperti nel settore fino
agli anni 60’, quando si decise di applicare un’originale tecnica che
permettesse di vedere oltre lo spessore delle piramidi. Fu così che la piramide di Cheope venne sottoposta alla radiografia muonica, analoga
alla familiare radiografia con i raggi X. Ci si potrebbe chiedere quali
siano le differenze e, in questo caso, la risposta è breve, ossia: il
principio di funzionamento è lo stesso, solo che nel caso di oggetti con
un estensione considerevole, come una piramide, al posto di utilizzare i
raggi X si impiegano delle particelle che vanno sotto il nome di muoni.

Cosa sono i muoni?
Elettroni più pesanti,capaci di penetrare spessori notevoli e nascono dall’interazione tra i raggi cosmici (particelle molto energetiche che provengono dal profondo cosmo) e l’atmosfera della terra.
Dunque schematicamente i muoni arrivano dall’alto, attraversano fino ad
un certo punto l’oggetto macroscopico che si vuole analizzare e
finiscono su una lastra che permetterà di visualizzare la parte nascosta
alla vista. Avendo inteso il funzionamento, risulta immediato pensare
che una cosa interessante da fare sarebbe applicare quanto detto e fare una radiografia all’Etna. E infatti gli scienziati non hanno tardato a pervenire alla stessa conclusione. Così, è bene sapere che nel 2016 è nato un progetto in collaborazione, guidato da Domenico Lo Presti, docente del dipartimento di Fisica e Astronomia dell’università di Catania, e che vede la partecipazione di fisici, ingegneri, geologi e vulcanologi e l’approvazione dell’ente Parco dell’Etna.

Il MEV: Muography Etna Volcano
Il
progetto ha previsto la costruzione di un appropriato rilevatore che
consente di tracciare una mappa con i muoni che hanno attraversato la
struttura vulcanica. Lo scopo della raccolta di dati – che va avanti da
agosto 2017 – è quello di approfondire la conoscenza della struttura
interna dell’Etna e ciò può significare: scoprire la geometria dei
condotti e delle camere, essere in grado di monitorare dettagliatamente i
movimenti di gas e magma all’interno dei condotti prima che si
manifestino i fenomeni eruttivi, interpretare i segnali sismici.


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