Le drammatiche testimonianze sono state raccolte da Sos Mediterranée. Storie di violenze e torture all'interno delle prigioni nordafricane, al punto che per molti rischiare la vita in mare è meglio che rimanere sotto il controllo dell'autorità libiche. «Una realtà inaccettabile, in contrasto con i valori dell'Europa», commenta l'ong
Migranti, i racconti dei sopravvissuti al viaggio «Guardia libica nasconde realtà agli europei»
Che le testimonianze dei migranti in attesa sulle coste libiche di imbarcarsi per l’Europa siano drammatici è risaputo. Sentirle dalla loro voce è un’esperienza ancora più dura. Lo sanno i volontari di Sos Mediterranée, da anni in mare aperto per salvare le vite di sale sui barconi. «Sulla spiaggia le persone avevano paura di fronte al mare agitato – racconta uno dei profughi salvati sabato dalla nave Aquarius – ma le guardie in uniforme ci hanno puntato contro le pistole e costretto a salire». «Preferisco morire piuttosto che tornare in prigione – ha raccontato un 25enne camerunense -. Un giorno in prigione in Libia una guardia ha sparato in aria e tutti sono fuggiti. Io no. Ero sdraiato a terra, la guardia mi ha colpito alla testa con delle pietre, sanguinavo. In cella ci hanno picchiato: mani e piedi legati, appesi a testa in giù, ci hanno colpito per tre giorni sulle articolazioni. Quando gli europei venivano a visitarci le guardie ci dicevano di non parlare. Sceglievano chi mostrare agli europei. Io però ho parlato e quando sono andati via mi hanno punito, trascinandomi in strada per duecento metri. Dopo le violenze, ti riportano in cella», ha concluso.
«Ho trascorso due mesi in Libia, eravamo fantasmi – ha raccontato una donna della Guinea -. Dovevamo nasconderci tutto il tempo. Siamo finiti in prigione diverse volte. Un uomo del gruppo con cui ero partita dalla Guinea è stato venduto per 700 dollari. Una volta un rappresentante ufficiale della Guinea è venuto nella nostra prigione per visitarla e portare delle persone all’aeroporto per rimandarle nel loro Paese. La mia amica temeva fosse un inganno e che ci avrebbero preso per torturarci, così ci siamo nascoste. Pochi giorni dopo è stata violentata e picchiata. È morta». Il racconto della donna continua in maniera altrettanto cruenta. «Abbiamo provato in ogni modo a uscire di lì. Abbiamo scavato un buco nel bagno ma le guardie ci hanno scoperte. Abbiamo tentato di forzare la cella, con un amico eravamo quasi riusciti a scappare, ma ci hanno presi mentre eravamo sulla recinzione e picchiato» ha concluso la venticinquenne.
I volontari hanno raccolto anche la testimonianza di un 13enne della Guinea, che ha raccontato di aver tentato due volte di fuggire dalla Libia via mare: «La prima volta la barca si è sgonfiata, tutti urlavano, siamo tornati sulla spiaggia spinti dalle onde. La seconda volta la barca è stata fermata dagli Asma Boys, i criminali del mare, e siamo stati riportati indietro». Essere riportati sulle coste libiche è, se possibile, una prospettiva ancora peggiore del rimanere per giorni in balia delle onde, del vento, del freddo, del mal di mare, senza salvagente. Molti non sanno neanche nuotare, ma sanno che se tornano indietro sono morti, se la nave non va a fondo e riescono a non dare troppo nell’occhio magari una chance di sopravvivenza ce l’hanno.
I volontari e gli operatori di Sos Mediterranée parlano di «una realtà inaccettabile, in contrasto con i valori fondamentali dell’Europa» e di «inferno libico». «Oggi l’urgenza assoluta – ha dichiarato la vicepresidente Sophie Beau – è andare a salvare in mare le persone che continuano a fuggire e di accompagnarle in un luogo sicuro, dove siano protetti e dove i loro diritti fondamentali di esseri umani vengano rispettati. In mancanza di un’adeguata risposta istituzionale europea alla perdurante crisi umanitaria al largo delle coste libiche – conclude – l’Aquarius continuerà la propria missione per tutto l’inverno senza sosta».