Migranti: 606 salvati da Ong, un terzo sono minori «In Libia tutto basato sul racket sulla nostra pelle»

Sette operazioni di salvataggio in un giorno e mezzo, 606 migranti recuperati tra la Libia e la Sicilia, di cui un terzo minori e undici donne incinte, due al nono mese di gravidanza. È il bollettino delle attività della nave Aquarius, della ong Sos Mediterranee che da tra martedì e mercoledì è stata chiamata diverse volte dalla Guardia costiera di Roma per intervenire e mettere in salvo centinaia di persone. 

Gli attivisti hanno intercettato gommoni e imbarcazioni prima in acque internazionali a est di Tripoli, qualche ora dopo a ovest della capitale libica, e poi ancora a est. Sette i mezzi intercettati: il più affollato aveva a bordo 144 persone, il più piccolo 29. Adesso l’imbarcazione di Sos Mediterranee è in viaggio verso il porto di Palermo, dove arriverà nella giornata di domani. I migranti provengono da più di 15 Paesi differenti: Siria, Egitto, Mali, Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Sudan, Marocco, Somalia, Eritrea, Senegal, Camerun, Nigeria, Liberia, Etiopia, Algeria, Ghana, Benin, Gambia, Yemen. Tra loro anche un migrante originario della Turchia.

«Alla Aquarius – fa sapere la ong – è stato chiesto di intervenire in sette operazioni in 36 ore: cinque salvataggi e due trasferimenti. Grazie alla professionalità delle squadre dei soccorritori e alle condizioni metereologiche clementi, le operazioni di salvataggio si sono svolte senza problemi». A operazioni concluse, si contano 241 bambini e adolescenti, 178 dei quali non accompagnati. «Più di un terzo delle persone soccorse in queste ultime 36 ore sono minori. Si tratta di una proporzione ineguagliata fino a questo momento».

Diversi naufraghi presentano sintomi di malnutrizione e appaiono provati dalla prolungata mancanza di cure, un giovane porta i segni di ferite da arma da fuoco e da machete. Nel gruppo anche undici donne incinte, subito prese in carico dalla ostetrica di Medici senza frontiere, partner medico di Sos Mediterranee. Numerose donne di origine subsahariana hanno dichiarato di essere state ripetutamente vittime di violenze sessuali e di essere state imprigionate per diversi mesi.

Sono cinquanta i siriani salvati, tra i quali intere famiglie con bambini e due donne al nono mese di gravidanza. «Siamo fuggiti dalla Siria e siamo arrivati in Libia nel 2012 – ha raccontato uno di loro, di circa 60 anni ai volontari della ong -. Ho lavorato nel settore delle costruzioni in Siria e in Libia ho continuato. Ma presto in questo Paese tutto è diventato caotico. In Libia non è più possibile accedere agli ospedali e ai servizi, non c’è più l’economia, non ci sono più soldi, né lavoro. Tutto ormai ruota intorno al racket e al traffico di esseri umani: a seconda della tua nazionalità ti viene chiesta una certa somma di denaro. In Libia, se vedono Siriani dicono “dammi i soldi”. Mi hanno rubato la macchina. È diventato impossibile vivere laggiù. È uguale per tutti gli stranieri, se non sei libico non sei niente. Non ho avuto altra scelta: il mio passaporto era scaduto, era il mare o la morte». L’uomo ha raccontato di essere partito da Garabulli, a Est di Tripoli. 

«Abbiamo tentato la traversata tre volte – ha aggiunto -. Ma la prima volta la barca è quasi affondata, la seconda volta il tempo era troppo brutto e dei pescatori ci hanno consigliato di tornare sulla costa altrimenti saremmo morti in mare, la terza volta era questa. I trafficanti ci hanno dato una bussola e ci hanno detto: se andate in questa direzione arrivate a Malta. Se andate in questa direzione arrivate a Venezia. Se andate in questa direzione arrivate in Andalusia». Ha aggiunto ancora il naufrago siriano, che assicura che la barca è partita da 

«Le diverse operazioni di salvataggio effettuate dalla Aquarius in queste ultime ore su una vasta area marittima – denuncia Sos Mediterranee – dimostrano che la crisi umanitaria nel Mediterraneo centrale continua o addirittura peggiora. Gli uomini, le donne e specialmente i tanti bambini salvati in mare scappano dal caos e dal clima di insicurezza e di violenza generalizzata in Libia. In mancanza di un’alternativa sicura, non hanno altra scelta che tentare la traversata del tratto di mare più mortale al mondo. Sos Mediterranee non può che interpellare di nuovo le autorità nazionali ed europee sulla necessità urgente di mobilitazione di imbarcazioni di salvataggio nel Mediterraneo per intervenire in tempo, prima che le imbarcazioni di fortuna si rompano e affondino, non lasciando alcuna possibilità sopravvivenza ai loro passeggeri».


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