A parlare è un ragazzo 20enne della Sierra Leone, recuperato ieri dalla nave Aquarius di Sos Mediterranée. In discussione ancora una volta gli accordi politici stipulati dall'Italia e dall'Europa con la guardia costiera del Paese nordafricano. «Ci davano da mangiare spaghetti con medicinali», ha raccontato il giovane
Migranti: 60 in una cella, un piatto per 20 persone «In Libia impossibile rimanere ma anche scappare»
«Dovevi fare i tuoi bisogni a terra e poi dormire nello stesso posto. Le guardie mettevano un piatto di cibo sul pavimento per circa 20 prigionieri». È il racconto di uno dei migranti salvati nel Mediterraneo ieri. Originario della Sierra Leone, ha circa 20 anni ed è stato recuperato dalle nave Aquarius della organizzazione non governativa internazionale Sos Mediterranée. Il giovane si trovava insieme ad altre 370 persone salite sull’imbarcazione, nel corso delle due operazioni di soccorso messe in atto da Sos Mediterranée e dalla nave Vos Hestia di Save The Children.
Il sierraleonese ha detto di essere al quarto tentativo di attraversamento del Mediterraneo, con i primi tre, che oltre a non essere andati a buon fine, avrebbero fatto da anticamera a una serie di violenze nelle prigioni libiche. «La prima volta sono stato respinto, arrestato e mandato in carcere per sei mesi, la seconda volta sono stato respinto ancora e mandato in carcere per un mese. – ha raccontato -. La terza volta è stata nel 2016: la marina libica e la polizia mi hanno arrestato e sono andato in prigione per tre mesi a Sabratha. La mattina e la sera ci davano da mangiare spaghetti in cui mettevano medicinali per indebolirci».
La ricostruzione della detenzione è cruda. «Eravamo messi in piccole celle, in ognuna c’erano fino a 60 persone – ha continuato -. Mi hanno picchiato con cavi elettrici. Per uscire dalla prigione dovevi pagare. Mi hanno chiesto 480 euro per la mia libertà». La privazione della libertà riguarderebbe anche l’impossibilità di lasciare il Paese nordafricano e tornare indietro. «Non c’è nessun modo di vivere in Libia, nessun modo di fuggire, nessun modo di tornare nel nostro paese», ha concluso il 20enne.
Dai colloqui effettuati dal personale di Sos Mediterranée sarebbero emerse numerose testimonianze in cui la Libia è raccontata come terra di «rapimenti, estorsioni, carcere, lavoro forzato, stupri ripetuti, maltrattamenti, violenze, torture e mancanza di protezione o possibili strumenti di ricorso per fare valere i propri diritti fondamentali». Racconti che di fatto riportano al centro del dibattito gli accordi che il governo italiano – e con esso l’Unione europea – hanno preso con la guardia costiera libica in merito al controllo delle frontiere nordafricane. Un impegno, quello dei libici, che da più parti è stato messo in discussione per le modalità di intervento e per le poche tutele che spetterebbero a coloro che vengono bloccati in mare.