Michele Costa sui fatti di Brindisi: “In Italia ormai ci sono troppe tensioni sociali”

Sull’attentato di ieri a Brindisi interviene in un’intervista rilasciata a LINKIESTA, Michele Costa, avvocato, figlio del Procuratore della Repubblica di Palemro, Gaetano Costa, ucciso dai mafiosi nell’agosto del 1980.

Michele Costa, per vari motivi, segue da sempre le vicende di mafia. Le sue considerazioni risultano piuttosto interessanti.

“Resto colpito – dice Costa a LINKIESTA – da una serie di elementi decisamente anomali. Il giorno e la scuola prescelti come bersagli, le numerose coincidenze: mi sembra tutto troppo perfetto e inaccettabile. Per la prima volta è stata colpita una scuola. Cosa può giustificare tale ferocia? Trovo tutto molto strano, indecifrabile per un’associazione criminale. Si tratta di un atto devastante e distruttivo anche per chi lo ha compiuto. Per questo motivo attendo con ansia i riscontri e le verifiche degli inquirenti. Rilevo peraltro la presenza di due elementi su cui riflettere. Il timer trovato dagli investigatori era bloccato alle 7.55 mentre la deflagrazione è avvenuta dieci minuti prima. Evidentemente si voleva una strage di portata maggiore… Adesso posso solo dire di sentirmi perplesso, come mi è sempre accaduto in occasione degli eventi più sanguinosi della storia di questo Paese”.

Sui responsabili Costa avanza varie ipotesi: “Forse – dice – scopriremo che il responsabile è un mafioso isolato e invasato, o che si tratta di una banda di criminali disperati: oppure che esiste un preciso disegno eversivo che ha ispirato la mano degli assassini. Un punto è a mio avviso fuori discussione: l’azione ha una netta impronta terroristica, ed è stata concepita per creare e diffondere la paura nell’opinione pubblica”.

Costa si dice convinto che la mafia “abbia sempre coltivato un disegno criminale di respiro politico e che i suoi gesti siano compiuti per un preciso obiettivo. Finalità che muta nel tempo e a seconda delle diverse fasi storiche: dalla capacità di adattarsi in maniera camaleontica a un clima e a un regime attraverso un patto di potere, alla volontà di affermare in modo brutale e diretto la propria egemonia sul territorio, imponendo alle istituzioni la resa e il cedimento. La mafia si muove spinta da un istinto di auto-conservazione, soprattutto nei momenti delicati e drammatici di passaggio e di crisi, per riemergere ogni volta in forma nuova. Nel crimine compiuto oggi (ieri per chi legge ndr) sembra mancare del tutto una logica simile”.

L’intervistatore gli chiede se vede una similitudine con le stragi del 1993. “Non lo so – risponde Costa -. Peraltro, nutro forti dubbi e perplessità sul fatto che ‘cosa nostra’ abbia ideato la catena di esplosioni a Milano, Firenze e Roma di quasi vent’anni fa. Vede, proprio non riesco a immaginare Leoluca Bagarella come un appassionato ed esperto di arte in grado di individuare e distinguere gli obiettivi eccellenti per una campagna mirata e scientifica di distruzione. Penso che sia un altro l’elemento davvero allarmante”.

“Come messo in luce dall’agguato ai danni del dirigente dell’Ansaldo Nucleare – aggiunge – esiste e si allarga una tensione difficilmente controllabile, destinata a esplodere. Parlando con i miei familiari venti giorni fa, avevo manifestato una strana inquietudine e il timore che presto sulle nostre strade avremmo visto diversi morti. Anche se certo non pensavo a un attentato”.

Quindi il giudizio netto, negativo, sull’attuale classe politica italiana: “Il ceto dirigente e la realtà partitica – conclude l’avvocato Costa – sono giunti a un tale livello di discredito e di impotenza che non hanno la forza di fare nulla. Anche per questa ragione ho paura che la crisi in atto determini e favorisca una deriva violenta e autoritaria”.

 

 


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