Carabinieri e polizia stanno eseguendo 24 misure cautelari, di cui venti in carcere contro presunti affiliati o uomini vicini all'organizzazione mafiosa della città dello Stretto. Tra le accuse anche concorso esterno, estorsione e maltrattamento di animali. C'è anche il vicepresidente del Messina calcio. Guarda il video
Messina, il clan Giostra gestiva beni confiscati Coinvolti in 24, tra attività anche corse dei cavalli
Carabinieri e polizia insieme per sgominare il clan Giostra di Messina che gestiva discoteche, ristoranti ma anche sale scommesse grazie a prestanome e alla complicità di professionisti e amministratori giudiziari. Alcune di queste attività erano infatti confiscate. Nelle prime ore di oggi è scattata una vasta operazione antimafia, denominata Totem, sia sul territorio della città dello Stretto, che nelle province di Catania, Enna, Mantova e Cagliari.
Sono 24 in totale le persone raggiunte da ordine di custodia cautelare, tra cui l’attuale vicepresidente del Messina Calcio, Pietro Gugliotta, che è stato recentemente nominato anche revisore dei conti della Calcio Servizi Lega-Pro. Per venti si apriranno le porte del carcere, tre saranno sottoposti agli arresti domiciliari, per uno è stato richiesto l’obbligo di firma. Sono accusate, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori, estorsione, detenzione illegale di armi.
Il clan avrebbe continuato a gestire in particolare due imprese già confiscate nel 2012: il lido Al Pilone e la società di distribuzione di videopoker e raccolta dei proventi del gioco Eurogiochi. Il tutto grazie alla complicità dell’amministratore giudiziario, l’avvocato Giovanni Bonanno, e ai servizi di un ingegnere, Antonio D’Arrigo, a cui sarebbe stata affidata la gestione di alcuni stabilimenti balnerari e della discoteca Il Glam. Tutte attività in realtà riconducibili al gruppo mafioso di Giostra, anche se intestate a prestanome.
Settore proficuo per il clan era quello delle scommesse. «Servendosi di un network di imprese apparentemente legali ma sprovviste dei requisiti prescritti per operare nel mercato dei giochi on line – sottolineano gli inquirenti – procedevano alla raccolta delle puntate e al pagamento in contanti delle vincite ai clienti, utilizzando server dislocati al di fuori dei confini nazionali. Nel medesimo ambito, l’organizzazione criminale provvedeva a investire nuovamente parte degli introiti nell’acquisto di videopoker, totem e slot-machine, che venivano a loro volta modificati mediante l’installazione di software illegali».
Non solo online, ma anche gare clandestine di cavalli. Per questo tra i reati contestati figurano anche esercizio abusivo di attività di gioco o di scommessa, corse clandestine di cavalli e maltrattamento di animali e altro, aggravati dalle modalità mafiose. Gli incassi sarebbero stati gestiti da Maddalena Cuscinà, moglie del boss Luigi Tibia, e da altri due affiliati, Giuseppe Schepis e Leo De Luciano. Questi, secondo gli inquirenti, «si adoperavano per garantire il reimpiego dei proventi illeciti derivanti dal gioco d’azzardo e dalle scommesse clandestine, che venivano reinvestiti in alcune attività di ristorazione e di intrattenimento di cui i medesimi erano intestatari».