Otto arresti nell'operazione Beta 2. Grazie alla collaborazione di un imprenditore, la Dda ha ricostruito un business milionario, sempre guidato da Vincenzo Santapaola, nipote di Nitto Santapaola. Coinvolti un uomo di Invitalia e un dipendente del Comune
Messina, nuovo colpo al clan Romeo-Santapaola Affari con i farmaci, le baracche e le scommesse
I tentacoli della nuova mafia di Messina erano arrivati ovunque. È scattata all’alba di oggi l’operazione Beta 2 nella città dello Stetto, ma anche a Catania e Palermo contro il gruppo Romeo-Santapaola, colpito per la prima volta nel luglio del 2017.
Un clan guidato da Vincenzo Romeo, nipote diretto di Nitto Santapaola, e sovraordinato rispetto agli altri gruppi di Messina. Sono otto le persone che oggi finiscono in carcere e moltissimi gli ambiti in cui il Ros dei carabinieri, diretto dalla locale Direzione distrettuale antimafia, ha riscontrato gli affari illeciti dei Romeo-Santapaola. Gli arrestati sono Antonio Lipari (classe 1977, di Messina); Salvatore Lipari (classe 1974, di Messina); Giuseppe La Scala (classe 1967, di Messina); Giovanni Marano (classe 1972, di Catania); Michele Spina (classe 1972, di Acireale); Ivan Soraci (classe 1975, di Messina); Maurizio Romeo (classe 1980, di Messina); Salvatore Parlato (classe 1956, di Francofonte).
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La consortera avrebbe gestito la distribuzione dei farmaci in Sicilia e Calabria e l’imposizione, sfruttando la capacità di intimidazione del sodalizio, dell’acquisto di farmaci da parte delle farmacie dislocate sul territorio di Messina. Sarebbero state commesse azioni punitive con l’uso delle armi e della violenza e danneggiamenti nei confronti di esponenti di clan cittadini rivali. Il gruppo non solo avrebbe gestito il settore dei giochi e delle scommesse illegali (circostanza già emersa nella precedente operazione, ma che oggi fa scattare il sequestro della società Bet srl, con sede a Catania), ma si sarebbe anche inserito in un progetto contro la ludopatia. In particolare i membri dell’associazione avrebbero promesso la somma di 20mila euro a titolo di acconto da corrispondere ad un funzionario della società Invitalia (ex Sviluppo Italia) per ottenere l’inserimento del loro progetto in una graduatoria che avrebbe dovuto consentire di ricevere un finanziamento di circa 800mila euro, di cui il 40 – 50 per cento a fondo perduto. Per questo è scattata l’accusa di traffico di influenze illecite aggravate dal metodo mafioso.
Altro reato contestato è l’estorsione ai danni del Biagio Grasso, le cui dichiarazioni sono state determinanti per ricostruire tutti gli affari del gruppo, anche sul fronte catanese, in particolare dei rapporti con gli Ercolano. L’imprenditore sarebbe stato costretto a cedere la propria quota societaria, del valore di 220mila euro, della P&F s.r.l. con sede a Messina. E infine i Santapaola-Romeo si sarebbero inseriti anche nell’affare degli alloggi da destinare ai residenti delle baracche. In particolare sono accusati di una turbativa d’asta, risalente al 2014, commessa da un dipendente dell’ufficio urbanistica del comune di Messina, che avrebbe alterato la gara indetta dal Comune per l’acquisto sul libero mercato di alloggi da assegnare in affitto agli abitanti delle 95 baracche di Fondo Fucile.
L’operazione di oggi è stata condotta dal Ros in collaborazione con il comando provinciale carabinieri di Messina e con il supporto degli altri comandi territorialmente competenti, ed è stata coordinata dal procuratore Maurizio De Lucia. Gli otto arrestati sono accusati a vario titolo di associazione di tipo mafioso, traffico di influenze illecite, estorsione e turbata libertà degli incanti, aggravati dal metodo mafioso, poiché commessi per agevolare l’attività del gruppo Romeo-Santapaola.
«L’attività investigativa – scrivono i carabinieri – ha confermato l’immagine di un’entità criminale capace di proiettare i propri interessi in diversi settori dell’imprenditoria, che non si è limitata a sfruttare parassitariamente, ma che ha pesantemente infiltrato e finanziato. Il tutto, ancora una volta, grazie alla particolare capacità d’interlocuzione con professionisti ed ambienti istituzionali, in un percorso trasversale in cui il ricorso alla violenza è rimasto sullo sfondo, limitato ai momenti di particolare criticità e nei rapporti con i clan di quartiere».
Tra gli episodi ricostruiti, singolare è il tentativo di accedere al bando di Invitalia per la realizzazione di un progetto contro la ludopatia. Gli interessi emergono in maniera eclatante da una conversazione ambientale registrata nel 2014, nel corso della quale Vincenzo Romeo, a proposito delle concessioni per i centri scommesse, afferma: «A Trapani lo ha per dire il nipote di Matteo (ndr: Matteo Messina Denaro), là ce l’hanno quelli la, i Graviano, quello là per dire Totò Riina…dove… (ine.)… il genero di coso … no vero, la figlia di Lo Piccolo aveva il tabacchino con la Better».
Particolarmente rilevante l’infiltrazione nel settore della distribuzione di farmaci, che ha visto confermati i legami tra il gruppo Romeo con il clan catanese dei Santapaola e che avrebbe preso forma nel corso di una cena tenutasi a Messina nel 2014, a cui avrebbero partecipato i vertici della società interessata ed esponenti del sodalizio, tra cui Vincenzo Romeo. Quest’ultimo sarebbe stato presentato come «un imprenditore in vari settori e parente diretto di Nitto Santapaola, con interessi economici a Messina, Catania ed in buona parte della Sicilia Orientale». Tra i progetti del gruppo, la creazione di un hub per la distribuzione di farmaci nell’hinterland di Milazzo, che avrebbe aumentato esponenzialmente le potenzialità di intervento nel settore. In una circostanza, confermata dall’interessato, ad un farmacista in difficoltà poiché in debito verso la società fornitrice, sarebbe stato consigliato di «farsi prestare i soldi dalla malavita».
È emerso, infine, che il sodalizio aveva la capacità di incidere anche sull’espressione del voto in alcune zone della città di Messina. Emblematica l’affermazione di Francesco Romeo, padre di Vincenzo, captata nel 2015 dalle intercettazioni, che, dialogando col figlio, commentava le vicende elettorali di uno dei destinatari dell’odierna misura cautelare che, all’epoca, si era candidato alle elezioni amministrative: «Se non era per noi altri i voti dove li prendeva nella funcia… (nel muso, ndr) “le casette” tutti me li hanno dati i voti… ».
Pochi giorni fa si è concluso il processo per i 21 imputati, coinvolti nella prima operazione Beta, che avevano scelto il rito abbreviato, col risultato di 19 condanne e due assoluzioni. La pena più alta a Vincenzo Romeo, 15 anni e due mesi.