Messina, lacune del Comune su morosità incolpevole La storia di Rosamaria: 34 lavori e tre sfratti

Più precaria della condizione di chi è costretto a vivere senza un tetto sulla testa c’è forse la risposta del Comune di Messina all’emergenza della morosità incolpevole. Lo fa capire senza troppi giri di parole la Prefettura in una nota inviata al questore e, per conoscenza, ai vertici provinciali di carabinieri e guardia di finanza. Una situazione, denunciata dalla federazione locale dell’Unione inquilini, che colpisce tantissime persone. Come Rosamaria Mandanici, 67 anni, 34 diversi lavori alle spalle e tre sfratti a suo carico dal 2000 a oggi. L’ultimo, lo scorso febbraio.

È il prefetto Stefano Trotta a sollevare il caso. Nella sua lettera rimarca come palazzo Zanca abbia fornito una lista di 12 soggetti ammessi ai benefici di legge, riportando solo i dati anagrafici. Senza informazione alcuna sulla composizione del nucleo familiare, né sulla tipologia di sostegno predisposto. Troppo poco per operare «una ragionata programmazione della graduazione dell’intervento della forza pubblica nell’esecuzione dei provvedimenti di sfratto». L’elenco del Comune, tra l’altro, è provvisorio e, a seguito dell’emanazione delle linee guida regionali, potrebbe essere pubblicato un nuovo bando per l’accesso ai contributi. Il prefetto conferma come siano tanti gli iscritti che chiedono di rimandare l’intervento della forza pubblica. Più volte Trotta ha fatto presente all’amministrazione municipale come la documentazione sia carente e rinvia al prossimo 30 maggio, ma non oltre, l’intervento delle forze dell’ordine. Auspicando, per allora, che da palazzo Zanca forniscano le informazioni mancanti.

«È necessario che il Comune faccia la sua parte – commenta l’Unione inquilini – e attivi sin da subito tutte le procedure necessarie per il passaggio da casa a casa». Nel frattempo, Rosamaria Mandanici, e chi come lei subisce il peso della crisi e della burocrazia, percorre ogni giorno una via crucis senza stazioni di sosta: «Ho subito tre sfratti: nel 2000, nel 2010 e lo scorso febbraio. Ora sto un po’ da mia nipote, l’ex nuora di mia sorella defunta, e un po’ dai miei due figli, uno di 50 e l’altro di 44 anni. Ma anche loro hanno problemi con il lavoro». La donna, nella sua vita, ha fatto quasi di tutto per sbarcare il lunario: «Ben 34 tipi diversi di lavoro, sin dal 1988: in mensa scolastica, nella segreteria di una clinica per dialisi, come fisioterapista, badante. E poi dieci anni alla Standa, in una profumeria. Lavorando spesso in nero». Ha fatto anche volontariato per aiutare i tossicodipendenti, chi vive in stazione e le persone malate di mente: «Sono andata pure in Jugoslavia, durante la guerra. Due volte».

Il suo primo marito, dal quale è separata, vive in Sardegna: «Dopo di lui ho avuto compagno, morto a 37 anni, dal quale ho avuto il mio secondo figlio che, come il padre, undici anni fa si è ammalato di tumore, riuscendo però a sopravvivere». L’ultimo impiego, come badante, è riuscito a svolgerlo fino all’età di 65 anni. Poi ha ceduto alla stanchezza e adesso percepisce l’assegno sociale: 448 euro mensili. «Pagavo la casa grazie a mio fratello che mi mandava 300 euro al mese. Poi ha avuto problemi anche lui ed è emigrato in Messico. In tutto ho quattro fratelli. Due di loro vivono in Francia e l’altro a Roma». Proprio l’impossibilità a far fronte al canone ha prodotto l’ennesimo sfratto, appena quattro mesi dopo il primo mancato pagamento: «Sono stata l’unica a essere sfrattata per morosità incolpevole in così breve tempo».

Uno sfratto burrascoso – 15 giorni fa ha denunciato il padrone di casa alla guardia di finanza – che ha fatto sì che lasciasse parte dei mobili nell’appartamento. «Ho dovuto lasciare lì il cassone con le scarpe. Ne ho un solo paio, adesso. Gli altri mobili sono in un deposito che mi costa 70 euro al mese. Tutte le valigie sono dai miei figli. Siccome non riuscivo a pagare la spazzatura e il bollo auto della 500 che avevo fino a tre anni fa, mi hanno pure bloccato la Postepay. Sono senza calzini, ho difficoltà a comprare perfino il sapone e la candeggina». Come se non bastasse, la 67enne non può assumere i farmaci a causa di un’alterazione del metabolismo del fegato che le provoca delle intossicazioni. Un disastro, considerato che ha un’ernia del disco: «Per la fisioterapia non posso andare in via del Vespro (sede dell’Asp, ndr) perché sarei costretta a prendere due autobus. Mi ero rivolta a un centro di Contesse, vicino casa dei miei figli, ma mi hanno rimandato a ottobre. E da circa cinque giorni non riesco a muovere un braccio».

Un’epopea abitativa, quella dell’anziana, iniziata nel 1996, quando sindaco era Franco Providenti: «Mi fa rabbia che si dica che queste cose succedono solo ora, con la crisi. Io faccio solleciti da allora, ma nessuno si è impegnato». Ha scritto a politici e presidenti della Repubblica: «Paolo Ferrero, quando era ministro della Solidarietà sociale, provò a interessarsi. Per il secondo sfratto, mi ha chiamato la polizia per conto di Giorgio Napolitano. Poi ha sollecitato i servizi sociali senza ottenere risposta. Un anno fa ho riscritto a Napolitano e la Prefettura mi ha contattato». Ma ancora una volta i riscontri latitano. Notte fonda anche sul bonus affitti che il Comune dovrebbe corrispondere: «Mio figlio, su quattromila euro l’anno che paga, una volta ha ricevuto 280 euro e un’altra 310. Ma pagano ogni tre anni. Sono fermi al 2011. Quell’anno avevo un regolare contratto ma non ho ancora percepito nulla. Nemmeno i soldi per poter fare un trasloco e recuperare le mie cose».

«Come si sono permessi di fare finta di nulla, il sindaco, l’assessore Nino Mantineo? Non hanno mai fatto un censimento delle case. A chi sono state assegnate? Il Comune doveva interessarsi a non farmi finire per strada – conclude, dicendosi intenzionata a rivolgersi alla Procura della Repubblica – Mantineo dice che tre mesi fa mi sono rifiutata di andare dalle Piccole Suore, a palazzo Palano. Ma volevano il 90 per cento della pensione, oltre al contributo comunale. Mi sarebbero rimasti 45 euro. Una proposta inaccettabile. Non la si può definire un’opportunità».

Fabio Bonasera

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