Messina, la tappa al Papardo dell’avvocato del boss «Prima del rettore, voleva parlare con due medici»

Prima di presentare la figlia del boss ‘ndranghetista Luigi Mancuso al rettore di Messina, Giancarlo Pittelli sarebbe andato all’ospedale Papardo per parlare con due medici. I dettagli sono contenuti nelle carte dell’inchiesta Rinascita Scott, che prima di Natale ha portato all’arresto di oltre trecento persone in Calabria, coinvolgendo i vertici della ‘ndrina Mancuso di Limbadi, in provincia di Vibo Valentia, ma anche professionisti, politici e uomini legati alla massoneria. Caratteristiche, le ultime tre, riassunte nel profilo di Pittelli: il 66enne originario di Catanzaro al mestiere di avvocato ha associato l’esperienza politica – prima l’elezione in parlamento con il Popolo delle libertà, di recente l’abbraccio con Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia – e l’adesione a una loggia coperta. Nel mezzo ci sarebbero stati i servigi offerti alla criminalità organizzata. Questa disponibilità nelle migliaia di pagine in mano alla procura guidata da Nicola Gratteri emerge a più riprese, superando i limiti di un normale rapporto tra legale e assistito. La vicinanza di Pittelli al boss si sarebbe manifestata in molteplici modi, tra cui il viaggio compiuto dal legale a Messina, il 17 aprile 2018.

Per gli inquirenti la traghettata in Sicilia sarebbe dovuta servire a facilitare la carriera universitaria di Maria Teresa Mancuso, la figlia minore del boss. Ventinove anni, iscritta alla Facoltà di Medicina, avrebbe avuto difficoltà a superare l’esame di Istologia. Nella ricostruzione di Pittelli, Salvatore Cuzzocrea, all’epoca rettore da poche settimane, sarebbe stato avvertito dal cugino, l’avvocato Candido Bonaventura. Bonny, così lo chiama Pittelli, si sarebbe presentato in compagnia del rettore. Un incontro che sarebbe servito a rasserenare la giovane Mancuso, ma che è stato totalmente smentito da Cuzzocrea, che a MeridioNews ha negato di avere mai incontrato la 29enne, mentre Bonaventura ha ammesso di avere conosciuto la ragazza, specificando però di non aver mai saputo si trattasse della figlia di un boss

Versioni differenti su cui al momento non è semplice fare chiarezza. Il trojan inoculato nel cellulare di Pittelli non sembrerebbe essere stato attivato nei momenti dell’appuntamento. L’ultimo contatto monitorato dagli uomini del Ros è delle 13.29, un sms inviato dall’avvocato calabrese al collega Bonaventura che si trova in tribunale: «Ti aspetto qui». Ciò che sarebbe accaduto subito dopo, lo racconta lo stesso Pittelli l’indomani al tavolo di un’osteria: la figlia del boss, alla vista del rettore, si sarebbe commossa, per l’emozione di chi scopre di essere vicino al superamento di un ostacolo fino ad allora ritenuto insormontabile. A non volersi pronunciare su come siano andate le cose è anche Domenico Puzzolo, il professore di Istologia che la figlia di Luigi Mancuso avrebbe ritenuto «stronzo». Raggiunto telefonicamente da MeridioNews, il docente messinese non ha risposto alla domanda circa eventuali segnalazioni sulla 29enne, rinviando ogni richiesta all’Università di Messina. 

Quello che invece pare esser chiaro è che la mattina del 17 aprile 2018, nell’agenda di Pittelli fossero segnati altri appuntamenti. Dopo essere sbarcato, infatti, l’avvocato calabrese si è diretto in viale Ferdinando Stagno d’Alcontres, dove ha sede l’azienda ospedaliera Papardo. Ed è lì che Pittelli fissa il punto d’incontro con Maria Teresa Mancuso. La giovane, in un primo momento, avrebbe dovuto attenderlo all’uscita del traghetto, ma l’avvocato cambia piano e si dirige con una collaboratrice al Papardo. Sono minuti in cui il traffico sul telefono di Pittelli è intenso, l’uomo contatta a ripetizione sia la 29enne che Bonaventura. Ma chi doveva incontrare in ospedale l’avvocato? I magistrati sospettano che anche quella visita potesse avere a che fare con la carriera accademica della figlia del boss. D’altra parte, il giorno precedente Pittelli aveva telefonato a Bonaventura e al collega messinese aveva fatto il nome di due medici del Papardo, chiedendogli se li conoscesse. La risposta di Bonaventura era stata affermativa, anche se la presenza di più persone con lo stesso cognome nei reparti non permette di individuare in maniera univoca il professionista. 

Ciò, quindi, spinge gli inquirenti a restringere il campo a quei medici che hanno avuto rapporti con l’Università di Messina. In mano al Ros finiscono così due coppie di omonimi. In realtà, a essi si aggiunge anche una quinta persona, che porta uno dei cognomi citati da Pittelli e che opera come direttore di un importante reparto. «È ipotizzabile che già allora (il giorno prima della partenza, ndr) conoscesse il problema di Mancuso e stesse attivando i suoi contatti per aiutarla», scrivono gli inquirenti di Pittelli.


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