A Palazzo Platamone per la rassegna Libri in Cortile lautrice di Venuto al mondo risponde alle domande di Pietrangelo Buttafuoco e spiega da dove nasce la sua ispirazione: Per me la scrittura è un processo spontaneo, naturale. Apro una finestra e guardo il mondo. Parlo con tutti, ascolto tutti. I miei figli spesso mi rimproverano di attaccare bottone con gli sconosciuti - Venuto al mondo, una Sarajevo tinta di rosso
Mazzantini: Stare in mezzo alla gente, ecco il mio segreto
“La scrittura è un dono, e i doni vanno restituiti”. La pensa così Margaret Mazzantini, una delle scrittrici italiane di maggiore successo, intervenuta a Catania per presentare il suo ultimo romanzo – “Venuto al mondo”, Mondadori, 2008” – all’interno della rassegna “Libri in cortile”, promossa dal Teatro Stabile e dall’Assessorato alla Cultura presso il cortile di Palazzo Platamone.
Ad introdurre la serata ed intervistare l’autrice, il giornalista e scrittore Pietrangelo Buttafuoco, secondo il quale “i libri non sono solo materia per pochi, ma devono essere pane per tutti”, per cui occorre offrire un romanzo al pubblico “come carne viva”, “spaccandolo, spezzettandolo”, allo scopo di renderlo accessibile. Non solo: spesso tutto ciò che non può essere scritto sui giornali, per Buttafuoco può essere invece raccontato con più fortuna nei libri. È il caso dell’assedio di Sarajevo – durato dal 1992 al 1996 – filo conduttore del romanzo della Mazzantini. In pochi ricordano questa guerra che, pur consumatasi a pochi passi dall’Italia, è stata rimossa senza troppi problemi dal nostro Paese, e dall’Europa intera. Forse perché in essa sono entrati in gioco anche motivi religiosi, in uno scontro fra Oriente e Occidente; forse perché “l’Islam dagli occhi azzurri ci turba”. Troppo vicino a noi per riuscire a comprenderlo pienamente.
Sarajevo appare nel romanzo come una città ferita, ancora a distanza di molti anni, e verso di essa la protagonista Gemma compie un viaggio reale e metaforico in compagnia del figlio adolescente Pietro, il ragazzino “venuto al mondo”. Ad attenderla l’amico e poeta Gojko, che durante le Olimpiadi invernali del 1984 le permise di conoscere Diego, il suo grande amore.
Il libro narra una storia d’amore forte e tormentata, caratterizzata da una mancanza, perché Gemma non poteva mettere al mondo un figlio; e quindi alla guerra che dilaniava la città si accompagna quella che dilania il suo cuore, contro la natura che le impedisce di procreare. Ma soprattutto “una storia d’amore sgangherata, su cui non avrebbe scommesso nessuno, perché a me – dice la Mazzantini – piace raccontare i sentimenti, e credo che lo farò sempre. Dopo il successo travolgente di Non ti muovere (vincitore del Premio Strega nel 2002, quasi due milioni di copie vendute n.d.r.) tornare a scrivere non è stato facile. Eppure io mi sento un pioniere, un gladiatore, mi piace ricominciare. Ho cercato tanto questa nuova vicenda e alla fine è arrivata, così, semplicemente, partendo da un dettaglio”.
Le si fa notare che il romanzo è caratterizzato da diversi registri: in certi punti epopea, in altri favola, in altri ancora intensa storia d’amore, e lei risponde che “non è stata una scelta cosciente, per me la scrittura è un processo spontaneo, naturale, frutto di una forte ispirazione. Apro una finestra e guardo il mondo, parlo con tutti, ascolto tutti. I miei figli spesso mi rimproverano di attaccare bottone con gli sconosciuti, dovunque, ma forse è questo il segreto, interessarsi alle persone”.
Non manca un riferimento al marito Sergio Castellitto, il suo primo editor, perché è lui ad avere il privilegio di leggere in anteprima i suoi lavori e a suggerirle tagli e correzioni. E, sempre parlando della sua famiglia, l’autrice non nasconde le sue difficoltà nel praticare lo stesso mestiere del padre Carlo. “Per anni ho rinnegato la scrittura perché avevo davanti agli occhi l’immagine di mio padre. Lui soffriva per la scrittura, ne aveva una vera e propria ossessione, ed io, quando lo vedevo chiudersi per ore nel suo studio, pensavo che a causa della scrittura trascurasse i suoi figli. Per me che sono una donna molto fisica, e amo stare in mezzo alla gente, l’isolamento è difficile da mettere in pratica. Non riuscivo a comprendere come ci si potesse volontariamente strappare al contatto con gli altri. Ma poi con il tempo mi sono riappacificata con questo lavoro, e con mio padre. Lui era una persona splendida, un anarchico, un libero pensatore”.
A conclusione della serata, intervallata dalla lettura di alcuni brani del libro da parte dell’attore Vincenzo Pirrotta, anche l’autrice si è voluta cimentare nella lettura, interpretando alcune delle pagine più intense del romanzo, quelle finali, in cui la protagonista traccia un bilancio del viaggio compiuto, e della propria esistenza. Con una conclusione dolce, e l’immagine scanzonata del figlio Pietro in giro per Roma, a sanare tutte le ferite provocate dalla vita.