«Il direttore ed editore del quotidiano “La Sicilia” di Catania, Mario Ciancio Sanfilippo, ha dato mandato ai propri legali di querelare la Rai per il contenuto diffamatorio derivante dalla trasmissione Report andata in onda il 15 marzo scorso su Rai3. Nella querela è chiesto un risarcimento per danni di 10 milioni di euro da destinare in beneficenza». La notizia viene letta sabato 21 marzo, al Tg1 delle 13.30, dallo speaker Francesco Giorgino. E si tratta di una notizia strana. Non falsa, ma strana. Per due ragioni.
Anzitutto, lo speaker Rai dà per scontato che il programma trasmesso dalla stessa azienda per cui lavora abbia avuto (oggettivamente, e non solo a parere di Ciancio) «un contenuto diffamatorio». Se un simile sbilanciamento a favore del querelante avesse riguardato una qualsiasi altra causa, si sarebbe anche potuto trattare di una veniale distrazione. Ma chi ha letto la notizia è la Rai, dunque l’azienda “querelata”. Possibile che un editore rinunci a tutelare i suoi interessi, al punto che i suoi stessi giornalisti possano dare per scontata la sua colpevolezza?
La seconda stranezza è data dall’uso del termine “querela”. “Querelare” significa denunciare qualcuno alla magistratura penale, per un reato non perseguibile d’ufficio. Si aprirà un processo. Il giornalista, se colpevole, sarà condannato (in questo caso per diffamazione), e assolto se innocente. In un processo del genere l’accusa è sostenuta dal pubblico ministero, ossia da un magistrato il cui compito istituzionale non è fare gli interessi del querelante, ma cercare la verità. Potrebbe anche accadere – non capita spesso, ma capita – che il Pm si convinca che il giornalista ha ragione e ne chieda l’assoluzione. Il querelante può intervenire solo costituendosi parte civile. Se, a processo cominciato, chi presenta la querela ci ripensa e vuol tornare indietro – tecnicamente si chiama “remissione” – non può farlo senza il consenso del giornalista; e se quest’ultimo pretende ormai di essere processato – per esempio, perché è convinto di poter vincere – il querelante non potrà impedirlo e dovrà affrontare il rischio di una sconfitta.
La querela è dunque il guanto di sfida di un duello giudiziario, spiacevole ma, a suo modo, cavalleresco. Una battaglia che si svolge sotto gli occhi dell’opinione pubblica (le udienze penali sono a porte aperte, chiunque può assistere al dibattimento e all’interrogatorio dei testimoni), che ha come oggetto la verità dei fatti e il corretto esercizio del diritto di cronaca.
Tuttavia Ciancio non ha presentato né annunciato alcuna querela. Il direttore ed editore della Sicilia ha invece annunciato una richiesta di risarcimento in denaro, sia pur precisando che ha l’intenzione di devolverlo in beneficenza. Una causa civile, insomma: Ciancio lamenta un danno all’immagine e chiede che esso sia accertato in un processo destinato a protrarsi per un tempo infinito (come tutti i processi civili), per sua natura tutt’altro che spettacolare (qualcuno ha mai visto una causa civile in Tv?), senza l’intervento di un Pm tenuto a cercare la verità, e costruito in modo che, in qualsiasi momento, chi ha chiesto il risarcimento possa rinunciare alla causa, senza che occorra il permesso dei giornalisti. Una procedura, quella del risarcimento danni, che in genere giornalisti ed editori criticano aspramente.
Poco male. Perché nelle orecchie e nella memoria del pubblico resterà ormai la parola “querela”. Già nella tarda mattinata di sabato, prima dunque che andasse in onda il Tg1, le agenzie avevano corretto l’errata notizia. Alle 13.11 l’Ansa nazionale ha diramato una rettifica al lancio originariamente confezionato dalla redazione catanese: «Attenzione: nella notizia dal titolo “Comuni: Catania, Ciancio querela la Rai per contenuti Report”, proveniente da Catania, si prega di correggere come segue: “Comuni: Catania, Ciancio, azione giudiziaria contro Report”. Si prega altresì di correggere all’inizio del secondo capoverso del testo come segue. «Nell’azione giudiziaria (RPT: azione giudiziaria E NON: querela) è chiesto…». Chiaro? Chiaro. Ma chissà quanti ci hanno fatto caso. Giorgino, di sicuro, no.
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