NATA PER DEVOZIONE, RICONOSCENZA E ORGOGLIO E DISTRUTTA DALL’INCURIA E DALL’IGNORANZA
di Agostino Marrella
Questo articolo nasce quasi per fatto personale e, cioè, per fissare e dare notizia a – come suol dirsi – futura memoria, di alcuni ricordi di mio padre, il quale nei primi anni 50 dello scorso secolo fu testimo¬ne oculare delle ultime vicende (almeno sinora) della chiesa in questione. Ma su questo tornerò un po di suspense non guasta! alla fine di queste righe.
La storia o, meglio, la leggenda vuole che tale chiesa abbia avuto origine da un mistero e (soprattutto!) da un breve riposo.
Nel 1470, mentre a Palermo imperversava una terribile carestia, nel porto cittadino arrivò un veliero mercantile carico di frumento che diede grande sollievo allormai stremata popolazione della città. Il capitano della nave, colpito dallentusiasmo e dalla gratitudine dei palermitani, volle ricambiare i tanti segni daffetto ricevuti donando loro una statua lignea della Madonna con Bambino. Ma, a questo punto, principiò un sacro casino poiché ogni ordine, congregazione o confraternita religiosa esigeva di addobbare la propria chiesa con quel simulacro, ragion per cui il Senato palermitano decise di rimettersi ad una divina indicazione. La statua fu caricata e fissata su un carro trainato da buoi, ma privo di carrettiere, cosicché i pazientissimi bovini, provvidenzialmente guidati, si sarebbero recati al luogo consacrato in cui l’effige mariana doveva rimanere; dopo avere girovagato un po, essi imboccarono la strada campestre che conduceva al Convento di Santa Maria di Gesù, ma, percorso solo un breve tratto di tale strada, allora del tutto disabitata, si fermarono per riposare; poi con gran sollievo dei presenti – i buoi ripresero il loro cammino giungendo (finalmente!) al già citato convento francescano (dove la policroma immagine restaurata nel 2004 è ancora visibile). Tuttavia, per dare notizia ai posteri del luogo di quella inspiegabile sosta, fu deciso che vi fosse edificato un tempio sotto il titolo di Maria Santissima del Riposo.
La chiesa di Maria Santissima del Riposo sorse, dunque, alla fine del XV secolo, sul quel segmento di strada campestre – oggi riconducibile al primo tratto di Via Buonriposo, compreso fra il ponte ferroviario e la Via Oreto – che uscendo da Porta di Termini (dal 1852 non più esi¬stente, sorgeva in prossimità sullattuale incrocio di Via Garibaldi con Via Milano) e superato il Ponte del¬lAmmiraglio (edificato nel secondo quarto del XII secolo) allora collegava Palermo con il convento francescano di Santa Maria di Gesù (1426) alle falde di Monte Grifone.
Detta strada campestre fu poi parte, sino al 1865 (in tale anno la Legge 2248 cosiddetta legge Lanza distinse le strade in provinciali, comunali e vicinali), della regia trazzera (cioè un percorso pubblico regolamentato ed esente da pedaggi) che collega¬va la città con le località Mezzagno (dal 1864 Belmonte Mezzagno) e Madonna dellOgliastro (dal 1882 Bolognetta). Essa fu a lungo priva di residenti e cominciò a popolarsi soltanto alla fine del XIX secolo: secondo la rilevazione del 1873 della Direzione di Statistica del Municipio di Palermo il Villaggio Buonriposo (così veniva ufficialmente appellata la schiera delle poche case su tale via) contava appena 150 abitanti; ventotto anni dopo, cioè nel 1901, secondo il censimento nazionale, in tale strada i residenti erano 840.
Nel 1600 il tempio tardo quattrocentesco, così malridotto da rischiare il crollo, fu interamente rifabbricato per iniziativa del sacerdote Giuseppe Bonfante e su uno dei suoi muri esterni fu posta una riproduzione marmorea dello stemma araldico, alias arma (una banda doro affiancata da due ban¬de rosse in campo azzurro), della Famiglia Maccagnone, Principi di Granatelli, proprietaria del predio su cui la chiesa sorgeva, nonché di quelli circostanti; la chiesa, però, era di proprietà del Terzo Ordine Regolare Agostiniano e divenuta via via nota col popolare appellativo di Madonna del Buon Riposo o di Buonriposo, per cui era meta di molti che soffrivano dinsonnia – restò aperta al culto (divenuta, nel frattempo, dipendente dalla Parrocchia di Brancaccio) sino alla soppressione degli ordini religiosi (1866), poi seguita dallincameramento dei beni ecclesiastici nel demanio statale (1867).
Il 9 Gennaio 1904 divenne rettore della chiesa padre Giovanni Messina, che la trovò in precarie condizioni generali, totalmente spoglia dogni arredo sacro e occupata da abusivi che, non senza difficoltà e qualche atto dimperio, riuscì a mandar via. Ripreso possesso delledificio sacro e delle sue poche pertinenze, fra queste un piccolo giardino, Don Messina lo accomodò personalmente, con laiuto di pochi volenterosi e con materiali edili di recupero, per farne una casa di accoglienza per orfani e bambini abbandonati. Tuttavia, tali opere di restauro, evidentemente insufficienti o non ben eseguite, non riuscirono a scongiurare che il 28 Dicembre del 1906, a causa di un temporale accompagnato da un forte vento, il campanile della chiesa crollasse sui dormitori dei bambini e sulla canonica, non arrecando, però, per ottima sorte (o per Divina Provvidenza?), danni alle persone.
Il 2 Luglio 1943, durante uno degli ultimi bombardamenti subìti da Palermo nel corso del 2° conflitto mondiale (le truppe statunitensi entreranno nella città liberata il 23 dello stesso mese), la chiesa della Madonna di Buonriposo venne rasa al suolo. Fine della storia? Forse sì, forse no.
La chiesa, come ho già scritto, era, e ciò è certo, nel tratto più basso di Via Buonriposo. Ma dove precisamente? Secondo il Lo Piccolo (In rure sacra, 1995) essa era allaltezza del Fondo Alfano: un predio – ne ho personale memoria – assai vasto, quasi tutto coltivato ad ortaggi, il quale prima che venisse scempiato da decine di palazzoni, si estendeva (alla grossa) da Via Buonriposo (in cui era uno degli ingressi) sino a Via Brancaccio e Via Fichidindia. Tale allocazione della chiesa può essere confermata o, meglio, precisata sulla scorta di quanto ebbe modo di raccontarmi mio padre ormai una quarantina di anni fa (anni 70). Egli che ha abitato in zona sin dal 1951 mi disse che aveva avuto modo di vedere i pochissimi resti della chiesa, già da tempo divenuti (soprattutto i conci di tufo di grande pezzatura chiamati, curiosamente, dai vecchi muratori palermitani quadri di San Giuseppe) materiale di spoglio per la costruzione postbellica di nuovi edifici, nellarea oggi occupata da un punto vendita (un magazzino, dotato di capannone e piazzale) di macchine e strutture per ledilizia.
Mio padre mi raccontò, inoltre, che, a dire di alcune persone del luogo, il bombardamento che distrusse la chiesa ne portò alla luce un locale sotterraneo che aveva delle nicchie con archi a punta (a sesto acuto?) dentro le quali cerano degli scheletri. La chiesa era, forse, dotata di una cripta? Lipotesi che non ho modo di verificare – non è del tutto peregrina visto che la nuova chiesa di Buonriposo (quella, cioè, costruita nel 1600) ospitò sino al 1708 la Congregazione de Borgesi (ovvero burgisi, contadini benestanti affittuari di terreni) e che le congregazioni religiose ordinariamente seppellivano i loro associati nelledificio sacro o, comunque, in prossimità di esso, in cui avevano sede. Ovvero, altra supposizione, la chiesa fu un sito sepolcrale dei (si veda sopra) Terziari Agostiniani?
Aggiungo, in ultimo, un mio personale ricordo risalente sempre agli anni 70: limpiantito di cemento del capannone industriale (costruito negli anni 50) dellazienda cui ho prima fatto cenno, proprio nella parte più vicina alla linea ferrata Palermo-Trapani (che era, assieme alle vicine officine ferroviarie, il vero obiettivo del bombardamento del 2 Luglio 1943) frequentemente, e solo in quel punto, si avvallava e doveva essere riparato perché allatto della sua messa in posa – e ciò a detta di qualcuno che vi aveva partecipato – si era dovuto preliminarmente colmare un fosso. Soltanto il cratere di una bomba o una cavità ipogea riferibile, in qualche modo, alla scomparsa chiesa di Buonriposo? Peraltro, se risultasse plausibile la seconda di tali ipotesi, ciò vorrebbe dire che la chiesa, assai probabilmente, non era limitrofa all’asse viario, ma spostata, verso l’interno, almeno di una cinquantina di passi.
Tanto ho ritenuto di narrare soltanto in adesione allempirico principio divulgativo “[cose] da tramandare, poiché sono state già tramandate” (Plinio il Vecchio, Storia naturale, Libro II, 85), rimettendo ai veri studiosi, assai più di me dotati di adeguati strumenti dindagine, il riscontro, la conferma o la confutazione di quanto ho riportato in queste righe.
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