Maria Grazia Cutuli, “capelli di terra”

«Si nasce in una città vera, mosaico di facce viste e riviste, di storie intricate, di fatti che a sentirli due volte diventano scandalo []. Maria Grazia ha il nome lungo delle donne del sud, il nome composto che ricorda la Maria delle chiese e la grazia delle bambine per bene []

».

Non è l’incipit di un libro, anche se lo sembra. E’ uno stralcio dell’articolo vincitore del Premio Una storia ancora da raccontare: Maria Grazia Cutuli.

 

Il concorso, bandito dal “Festival internazionale del giornalismo” e dall’ “associazione Ilaria Alpi” ben quattro anni fa, chiede ogni anno ai giovani che si affacciano a questo mestiere di raccontare i giornalisti che sono morti cercando la verità e che si sono distinti per bravura e coraggio: da Ilaria Alpi, a Enzo Baldoni e Giancarlo Siani. Quest’anno si parla di Maria Grazia Cutuli, la giornalista catanese che, inviata dal Corriere della Sera in Afghanistan, viene uccisa in un attentato sulla strada per Kabul nel 2001.

 

Franco Di Mare, giornalista di Rai Uno, di lei ricorda

«la sua asprezza quando voleva ottenere delle informazioni difficili e la morbidezza del suo sguardo nei momenti in cui sapeva di poterselo permettere

». Matteo Scanni, rappresentante dell’associazione “Ilaria Alpi“, afferma che il modo di raccontare della Cutuli «avveniva in presa diretta, con lucidità e verità, senza sconti di alcun genere. Lei non viveva di tesserini o di riconoscimenti. Si nutriva di verità ».

Laura Silvia Battaglia, collega e conterranea della Cutuli, racconta quanto sia stato difficile negli anni

«ricostruire l’immagine di Maria Grazia Cutuli, non come martire dell’Afghanistan né come giovane giornalista impreparata a stare al fronte, ma come professionista che non si tirava mai indietro davanti alle difficoltà

».

 

Molti i giovani che accettano la sfida di raccontare la Cutuli e si cimentano in due cartelle di scrittura o in 6 minuti di video. Non é facile. Ma c’è chi a parer di giuria(*) ci riesce con ottimi risultati.

 

Vince la sezione carta stampata Martina Castigliani – 22 anni – con il suo Capelli di terra . E’ piaciuto molto 

«per il modo, se vogliamo innovativo, con cui ha usato le parole: un uso non sempre consentito dal giornalismo. Non ci sono date e dati, luoghi e persone – spiega la giornalista e scrittrice Laura Silvia Battaglia – ma un calarsi dentro una persona, anche se non la si è conosciuta, cercando di farne un ritratto. Come potrebbe fare un giornalista che cerca di raccontare una vittima di guerra che ha davanti e non la conosce. E ciò che non si legge nei giornali ma che grandi giornalisti hanno saputo fare trasformandosi quando è servito in scrittori

»

 

Chiediamo alla vincitrice come è riuscita a calarsi nei panni di una persona che non ha mai conosciuto, come è nata l’idea di raccontarla in questo modo e quanto tempo ha impiegato. «E’ da 6 anni che lavoro per un giornale locale facendo la gavetta più terribile: mi mandano sempre ai funerali dei ragazzi. Il dover scrivere di una persona che non si conosce e del suo funerale è una cosa inconcepibile, così ho iniziato a cercare di capire, osservando tante piccole cose.

Inizialmente non volevo partecipare al concorso e ho deciso di fare poca ricerca su Maria Grazia, perché non era la conoscenza di certi fatti che volevo privilegiare nella mia testa. Ma quando ho capito che mi potevo rispecchiare in lei – perché era molto giovane e determinata, e per ciò che amava studiare e leggere, un po‘ come me – ho iniziato a buttare giù le parole, una dopo l’altra, di getto, con una scrittura di sentimento e convincimenti. Poi ho inviato l’elaborato ma non mi aspettavo di vincere.

Lei è un modello, e non lo dico per retorica, ma perché Maria Grazia ha capito che il giornalismo non è speculare, portare a casa la notizia. Lei le ferie, infatti, le usava per andare a fare dei reportage

».

 

La menzione speciale va, invece, ai lavori di Silvia Barocci e di Eleonora Cozzari.

 

Per la sezione video vincono Mariangela Modafferi e Pasquale Filippone con “Da Catania a Kabul, storia di una passione“.

«Qui si è fatto un lavoro giornalistico intervistando, sentendo testimoni – spiega Battaglia – e montando il tutto in una sequenza temporale in progressione

». Gli autori ci hanno lavorato durante le vacanze di Natale volando da Catania a Milano e aggiungendo immagini di repertorio.

«Ma per spiegare una storia si possono utilizzare anche altre forme di linguaggio, come può essere quello radiofonico o il teatro, usando degli elementi simbolici. Questo indubbiamente può anche non essere giornalismo – continua Battaglia – però quando parliamo di un lavoro che non è solo un pezzo da telegiornale può avere un senso: se serve per esempio a raccontare una donna come Maria Grazia Cutuli. Ciò è accaduto in uno dei lavori esaminati che ha ricevuto la menzione speciale. “E’ lì che bisogna essere. Per testimoniare” di Rosario Di Raimondo e Giulia Zaccariello

».

 

 

(*) La giuria: Franco Di Mare (Rai Uno), Laura Silvia Battaglia (giornalista e autrice del libro “Maria Grazia Cutuli, Il Cielo degli Ultimi“), Donata Cutuli (presidente della Fondazione “Maria Grazia Cutuli“), Francesco Faranda (Fondazione “Ilaria Alpi“), Enzo Jacopino (segretario dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti) e Matteo Scanni (Associazione “Ilaria Alpi”).


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Giovani e bravi: sono i vincitori del Premio “Una storia ancora da raccontare” nell’ambito del Festival Internazionale del Giornalismo. Con poche righe e una manciata di minuti di video, hanno saputo ritrarre la giornalista uccisa in Afghanistan, che da Catania andò in Paesi dove i "suoi capelli attorcigliati in fondo presero a sapere di sale e terra, di lacrime del vicino"

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