È uno dei simboli della città, salvato dall’incuria, dal cemento e dalla speculazione edilizia del Sacco di Palermo. E immortalato nel film documentario di Davide Gambino che andrà in scena sabato allo Spasimo per la 13^edizione del Sole Luna Doc Film Festival
Maredolce, l’ultimo lembo incontaminato della Conca «Accendiamo una luce sui luoghi ai margini della città»
Raccontare un luogo, per riaccendere l’attenzione su di esso. È su questo semplice paradigma che prende vita il film documentario Maredolce-La Favara, che sarà proiettato sabato 7 luglio alle 18 allo Spasimo, nell’ambito del Sole Luna Doc Film Festival. Davide Gambino, che ne firma la regia, lo realizza nel 2015 su input della Fondazione Benetton studi e ricerche, con cui collabora da anni. Una Fondazione che si occupa di protezione e racconto del paesaggio, e che ogni anno, avvalendosi di un comitato scientifico internazionale che mette insieme studiosi di diversi ambiti (da quello paesaggistico a quello filosofico, e ancora artistico, storico, sociologico), attribuisce un premio a un luogo nel mondo per la particolare rilevanza. E nel 2015 tocca proprio al Castello di Maredolce, che si aggiudica il prestigioso premio internazionale Carlo Scarpa per il Giradino.
Anno in cui chiedono al regista palermitano una mano per realizzare un prodotto che possa raccontare tutte le meraviglie di uno dei luoghi più belli di Palermo. Il progetto, quindi, nasce quindi sulla scia di questa suggestione. «Si tratta di un luogo per me straordinario, proprio per la sua marginalità, perché sta ai confini della città e riesce a raccontare quell’ultimo lembo di Conca d’oro che è rimasto», raccontaa MeridioNews il regista, che ha accolto con grande entusiasmo l’incarico affidatogli dalla Fondazione. Il Castello si affaccia su Ciaculli e ancora oggi, malgrado qualche segno di abbandono, si mostra in tutta la sua bellezza. Nato come castello arabo, poi preso dai normanni, mentre re Ruggero ne ha fatto la sua roccaforte, costruendo ll’interno del suo parco anche un lago artificiale, da cui deriva il nome particolare del sito. Oggi ha assunto le sembianze di un mandarineto e racconta quell’ultimo tratto della Conca d’oro che non è stato ancora devastato dal cemento, dall’incuria e dal sacco di Palermo.
«Racconto questo luogo avvalendomi di prestigiosi contributi – spiega Gambino -, tra cui quello di Giuseppe Barbera che fa parte del comitato scientifico della Fondazione e che ha molto a cuore questo posto. Nasce così, insomma, il mio racconto. E il mio punto di vista è allineato a quello della Fondazione». Il premio, infatti, è una vera e propria campagna di studio e di conoscenza, tenta di accendere una luce su un luogo. «Non sta a noi trovare delle soluzioni per rivalutarlo. Noi cerchiamo di raccontare, di accendere appunto una luce, perché tutto passa dalla conoscenza, anche il riappropriarsi di qualcosa suscitando la curiosità verso quei luoghi – continua il regista -. Ognuno con i propri strumenti, dall’amministrazione alla Sovrintendenza all’Università, può fare qualcosa. Il punto, ed è il motivo della mia collaborazione con la Fondazione, è quello di aprire, anzi squarciare una finestra su un luogo, che è sempre una tematica molto complessa e che si cerca di mostrare attraverso diversi punti di vista per provare a raccontarlo ma anche per creare un accesso alla conoscenza di quel dato luogo».
Non ci sono ricette prestabilite né manuali d’istruzioni, a sentire parlare Gambino, ma è convinto che la cosa fondamentale sia appunto quella di accendere una luce per incuriosirsi e incuriosire, e per aprire infine un dibattito su un luogo, su una meraviglia rimasta miracolosamente incontaminata ma, appunto, ai margini della città e della conoscenza. Il film, realizzato tre anni fa, torna a essere riproposto adesso, nell’anno di Palermo Capitale della Cultura e di Manifesta 12, «un omaggio della Fondazione Benetton alla città». E il regalo è proprio un luogo che in realtà ci appartiene da sempre, un piccolo simbolo di testarda resistenza, sopravvissuto al processo che ha mutato la Palermo arabo-normanna nella città della speculazione edilizia e dell’incuria paesaggistica. E immortalato nel film documentario Maredolce-La Favara, che vive attraverso le testimonianze di autorevoli e appassionati personaggi che illuminano un futuro possibile in bilico tra passato e presente, tra agricoltura e turismo, tra paesaggio e arte.