Marco Bellocchio, il regista, l’uomo, l’occhio

Sono le ore 16 quando Marco Bellocchio, uno dei registi più importanti dell’attuale panorama cinematografico europeo, varca la soglia dell’ormai mitica aula 24 lasciandosi alle spalle un sole che oggi, sembra essere proprio intenzionato a fare a tutti i costi gli straordinari. Ad attenderlo dentro, insieme a qualche membro della redazione di Step1, ci sono Alberto Conti e Davide Brusà, i bravi nonché simpatici conduttori de “Ritorno al futuro”, uno dei programmi più seguiti del palinsesto di Radio Zammu. Mentre vengono perfezionati gli ultimi accorgimenti prima della diretta radiofonica (chi se l’è persa potrà riascoltarla in replica venerdì 12, ndt)  raggiunge lo studio anche la sicilianissima Donatella Finocchiaro, protagonista femminile principale dell’ultima pellicola del maestro. Tutto è pronto. On air! Gli ospiti sono rilassati, a tratti anche divertiti dai pungenti quesiti di Brusà, che alterna domande di protocollo (“Quanto c’è di lei nei protagonisti della storia?” o “che Italia mostra il suo film?”) ad analisi di notevole caratura “cinefilo-investigativa” (“la location siciliana rappresenta una via di fuga da che cosa?”, “perché ha sentito ancora una volta l’esigenza di rimarcare il suo ateismo” e ancora “davvero nel nostro paese comandano i morti?”) che hanno come obiettivo principale quello di addentrarsi sempre di più nei meandri dell’immaginario ora visivo, ora comunicativo, dell’autore. Le risposte che i due intervistati forniscono – accompagnate dal commento sonoro scelto per l’occasione da Conti – sono minuziose quanto preziose. L’ars orandi di Bellocchio è invidiabile, in perfetta linea con il personaggio. Ogni sua parola nasconde mille significati diversi, un po’ come i finali dei suoi film. Allo stesso modo la Finocchiaro conquista l’attenzione degli ascoltatori. Il suo è un modo di porgersi gentile, elegante, nobile. Non risulta difficile immaginare quali siano stati i motivi che hanno convito il regista a sceglierla come protagonista. Le lancette corrono e l’Auditorium si sta pian piano affollando.

Alle 17 in punto il maestro sale in cattedra. Al suo fianco prendono posto, oltre alla Finocchiaro, il Prof. Rosario Lizzio, il Prof. Luciano Granozzi (responsabile del Medialab) e i coordinatori dei laboratori ovvero lo stesso Davide Brusà, Sonia Giardina, Dino Giarrusso e Carlo Lo Giudice. Dopo le interessanti introduzioni dei docenti Granozzi e Lizzio, calano le luci e dal proiettore partono i fotogrammi di uno dei film più discussi di Bellocchio, “Diavolo in corpo” del 1985, opera che sancisce l’inizio della collaborazione con il noto psichiatra Massimo Fagioli. La scelta di mostrare una clip tratta proprio da quella pellicola non è casuale; la locandina promotrice dell’evento, per chi non se ne fosse accorto, ha un titolo che è più di un riferimento diretto: “Psiche, Impegno, Immagine”. Il dibattito ha inizio. Bellocchio ci tiene subito a precisare – specificando di non volere più tornare sull’argomento – che per lui la psichiatria non era curiosità, un mondo, diverso, da prendere e riportare sul grande schermo. “Era per curarmi” scandisce a chiare lettere, senza dribblare la critica alla staticità che ha, e che conserva, il punto di vista cattolico nei confronti dell’argomento. Ritornando poi al “Regista di matrimoni”, Bellocchio chiarisce nuovamente (lo aveva già fatto nel corso dell’intervista rilasciata a Brusà) che la frase/tormentone “In Italia comandano i morti” nasce spontaneamente, senza alcun calcolo e metodo, e che non vuole assolutamente dare il là a qualchesia  interpretazione velata. Quando gli si chiede di Sergio Castellitto – che interpreta il protagonista del film, il regista Elica – Bellocchio spiega che il suo è un personaggio che affronta una doppia crisi, professionale da una parte, famigliare dall’altra… che scappa ad un certo disegno terzo (del destino ovviamente) e che si ritrova in una Sicilia che forse non ha neppure scelto, è lì, seduto in mezzo alla spiaggia, per caso. Il primo giro di interventi riservati ai moderatori si è concluso. Ne approfittiamo per fare due domande:

Quali sono le affinità tra il personaggio di Castellitto, Elica, ed il padre della futura sposa, il principe Gravina? Entrambi soffrono l’allontanamento delle figlie alle quali rimproverano qualcosa pur non evitando un’autocritica. Puoi dirci qualcosa a tal proposito?
Sì, si tratta di due genitori che hanno effettivamente qualcosa in comune anche se il personaggio interpretato da Sergio più che essere deluso dalla figlia lo è dalla vita stessa. Il principe, invece, è stato sin da subito un personaggio dilemmatico tanto che io per un po’ non capivo se doveva avere un taglio tutto nero, distruttivo, da esteta decadente… un uomo che utilizza la figlia (Donatella Finocchiaro) per cercare di recuperare un suo status perduto. In realtà lui è un provocatore, un po’ come il conte Bulla in “L’ora di religione”. La loro è una funzione di provocazione positiva, e a tal proposito è abbastanza esplicativa la scena finale del film quando lo vediamo soddisfatto e abbastanza compiaciuto dopo che Sergio ha fatto salire sul treno sua figlia e va via senza di lei.

Che messaggio nascondono le due coppie di cani?
Molti hanno scritto che nel mio film si respira un’aria da fiaba ma nulla di questo era realmente previsto. La prima coppia di cani, quella dei rottweiler, erano scritti in sceneggiatura e sono la prova di coraggio a cui si presta Elica spinto dal desiderio di incontrare la principessa Gravina. Tra le altre cose il povero Sergio, pur sapendo che i due cani erano stati addestrati, era un po’ timoroso mentre giravamo. Poi alla fine del film c’è l’altra coppia, quella dei pastori baschi. Questi non c’erano nella sceneggiatura. Li abbiamo trovati per caso all’interno di un bellissimo convento nei pressi di Corleone e abbiamo deciso di inserirli dopo. Tra queste due coppie di cani, ce n’è una di pesci rossi all’interno dell’acquasantiera… è buffo ma in molti mi hanno detto che da piccoli facevano scherzi di questo tipo. Quanto al significato in conclusione, non c’è una risposta da dare.

L’incontro volge al termine giusto il tempo di qualche altra dichiarazione della Finocchiaro (in particolare si sofferma sui provini fatti) e di spunti interessanti che arrivano dal pubblico riguardanti “Buongiorno, Notte” e la drammatica situazione del sistema socioculturale italiano sempre di più in balia dei reality show. La scaletta della giornata è piena zeppa d’impegni. Bellocchio si alza e saluta i presenti tra gli applausi generali. Prima di conquistare l’uscita dovrà rilasciare una serie d’interviste per alcune emittenti locali e un piccolo muro di devoti “autografari”. Noi riusciamo a strappargli una promessa, una manciata di minuti prima della presentazione del film prevista per le 21 nella del cinema Excelsior. Con estrema gentilezza il maestro ci concede più del tempo accordato. La location della mini-intervista è decisamente nouvelle vague: il piccolo bar di fronte il botteghino. Partiamo subito dalla citazione del film di Camerini, “I Promessi Sposi”, dal quale sono tratti gli spezzoni in bianco e nero inserirti nella parte iniziale della pellicola, per arrivare provocatoriamente ad Alessandro Manzoni e alla fatidica domanda “Manzoni è un morto che comanda?”. La domanda diverte il maestro e al contempo lo incuriosisce. “Occorre un elemento di novità anche in questo, altrimenti non offrendo alternative si rischia la violenza culturale” risponde senza troppi giri di parole, aggiungendo che forse, a quindici anni, non è detto che si apprezzi a pieno l’enorme portata artistica e contenutistica  del romanzo. C’è spazio anche per una riflessione importante che ha per oggetto la bestemmia che costò a “L’ora di religione” il V.M. 14. “Nella bestemmia c’è una dimensione di furia, di rabbia, di ossessione e chi la pronuncia in un qualche modo riconosce l’esistenza della divinità. In quel caso (riferendosi al film) potrebbe anche essere un urlo contro un’educazione e non tanto un insulto nei confronti di Dio”. A questo punto Marco Bellocchio deve salutarci, dall’altra parte, in sala, stanno aspettando lui.

Vittorio Bertone

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