Marchese e «la nuova frontiera del crimine organizzato» Ecco il sistema che ha coinvolto 74 società del Nord Italia

Le radici e la forza criminale a Sud. La testa e i soldi al Nord. Rosario Marchese aveva chiaro il modello da seguire, lo stesso che negli ultimi anni ha rafforzato Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra. Lui, commercialista nato a Caltagirone, operativo a Gela fino a tre anni fa, dal 2017 ha spostato i suoi affari in Lombardia, portandosi dietro un curriculum criminale ricco e una rete di inquietanti contatti. Prima con il clan Rinzivillo di Cosa Nostra e per con i rivali della Stidda

Il trasferimento a Brescia non ha messo fine agli affari torbidi di Marchese. Tutt’altro: secondo la guardia di finanza, ritrovarsi in un contesto imprenditoriale decisamente più vivo, li ha ingigantiti. Il commercialista è accusato di aver messo su un sistema di frode finanziaria redditizio, anche se piuttosto grezzo, basato sulla compensazione dei crediti. Ecco come funzionava. 

Un’impresa che ha sede in un’area considerata svantaggiata dall’Unione europea e che investe nell’acquisto di beni strumentali ha diritto a un credito di imposta da parte dello Stato. In sostanza, un beneficio che verrà sottratto al momento di pagare le tasse. La legge, però, stabilisce che il credito d’imposta non si può cedere ad altri. Marchese invece avrebbe creato un sistema basato proprio sulla violazione di questo principio (e sulla speranza di non subire controlli). Il commercialista si è avvalso di tre società vuote, dette bad companies, che hanno dichiarato diversi milioni di euro di credito d’imposta. In realtà mai acquisiti. Si tratta della Calcestruzzi Sanzone s.r.l. con sede a Niscemi, in fallimento da gennaio 2012; la Edilmec con sede a Licata; e la Sistemi di Ingegneria e Tecnologie Avanzate-Sita s.r.l., con sede a Milano, cessata a settembre 2018.

Nel ricco Nord, Marchese e il suo entourage non avrebbero avuto difficoltà a trovare clienti interessati a usare questi crediti d’imposta per abbattere le proprio imposte da pagare, pur consapevoli di usufruire di una pratica vietata dalla legge. Le Fiamme gialle ne hanno individuate ben 74, che avrebbero usato in totale 34 milioni di euro in crediti inesistenti. Gli amministratori delegati di queste società, infatti, sono indagati con l’accusa di indebita compensazione. E tra questi figurano anche Graziella Bragaglio, rappresentante legale della Basket Brescia Leonessa, che milita nel campionato di serie A femminile, e Giuseppe Parisi, amministratore della A.N. Brescia Pallanuoto, che quest’anno ha partecipato alla Champions League. Entrambe le società hanno subito un sequestro preventivo: 151mila euro la Leonessa Basket e 183mila la A.N. Brescia Pallanuoto. Somme equivalenti al presunto credito di cui avrebbero beneficiato. 

Altra figura indagata e legata alle due squadre è quella di Andrea Malchiodi, che è stato presidente del collegio sindacale della Leonessa Basket e commercialista della società di pallanuoto, nonché intermediario tra le due società e il gruppo di Marchese. In risposta all’indagine, la Leonessa Basket in una nota si è detta «estranea ai fatti, non avendo utilizzato crediti inesistenti a compensazione. Come precisato nell’ordinanza, infatti, la società non ha mai eseguito bonifici, né stipulato e tantomeno registrato contratti di cessione del credito di cui trattasi».

Il sistema in realtà non prevedeva alcuna reale vendita, né contratti. Fino al 2017 direttamente in banca e dopo con un intermediario accreditato ai portati dell’Agenzia delle Entrate, alle società bastava compilare un modello F24 in cui inserire il codice magico: 6742, che indica i crediti d’imposta in aree svantaggiate. In una colonna i debiti, nell’altra i finti crediti. Alla fine, però, sarebbe stato sempre Marchese a guadagnarci. Le società clienti infatti, per ripagare il credito acquisito, avrebbero pagato, sotto forma di prestazioni per consulenza fiscale, proprio alcune società amministrate o riconducibili al commercialista gelese. In totale nelle casse del gruppo sarebbero finiti oltre sette milioni di euro. 

Un sistema perfettamente delineato in un’intercettazione dall’indagato Giuseppe Arabia, accusato di associazione mafiosa: «Vendo crediti… c’è un mondo che tu non hai neanche idea. Ma sai la gente, minchia, studia per non pagare le tasse, compra il credito da me a 60 e risparmia il 40, c’è gente che paga ogni mese (di imposte, ndr) 100, 120mila euro, fai un po’ il calcolo al 40 per cento in meno… è un finanziamento, è come se la banca tutti i mesi ti desse 40mila, 50 mila euro. È tutto alla luce del sole, sennò quando tu presenti l’F24 come si farebbe? In teoria non si potrebbe fare la vendita, però, esatto, il mio passaggio in teoria non ci dovrebbe essere, però voglio dire una volta che io faccio la consulenza, faccio da tramite». Uno spaccato che gli inquirenti definiscono «un vero e proprio manifesto di una nuova professione illegale, una nuova frontiera del crimine organizzato».


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