Manuela Ulivi, l’avvocata per e delle donne «Più della legge contano le relazioni»

«Ho ascoltato storie di donne che mi hanno raccontato il loro privato, intimo e doloroso insieme. Aprendosi, mi hanno detto chi sono io: grazie alle relazioni, allo scambio di esperienze e al riconoscimento di quelle che capitano semplicemente perché si è donne».  In 22 anni di volontariato all’interno della Casa delle donne maltrattate di Milano, la prima associazione per le vittime di violenza di genere fondata in Italia, Manuela Ulivi di storie ne ha sentite molte. All’associazione si sono rivolte più di 20mila donne, circa mille all’anno. Ma davanti ai presenti nel salone Russo della Cgil, in via dei Crociferi, all’incontro organizzato dalla Ragna-Tela – la rete catanese di donne e uomini contro la violenza sessista che sta lavorando al progetto di un condominio condiviso per ospitare donne maltrattate – non ne racconta neanche una e allo stesso tempo parla di tutte. Di come l’hanno fatta diventare «un’avvocata, più che un avvocato – dice – perché mi avvicino alle persone che mi chiedono aiuto non portando sopra di loro la legge, ma le mie competenze e creando una relazione».

«Quello che conta è la volontà della donna – spiega Ulivi – Perché, solo quando chi subisce violenza matura una scelta, si può agire. Il nostro non è un intervento soffocante in cui si dice alla donna cosa deve fare – aggiunge – Siamo lì per ascoltarle, mentre di solito le donne non si ascoltano: si guardano, si giudicano e, quando si ascoltano, lo si fa per i particolari morbosi». L’avvocata e le altre socie della Casa invece hanno deciso di proteggerle e lo fanno anche scegliendo di non andare in televisione. «Tante volte siamo state invitate – afferma – ma non volevano che raccontassimo la nostra esperienza, solo che portassimo una donna».

L’unica storia alla quale accenna è quella di una donna maltrattata dal marito alla quale il giudice negli anni Novanta ha riconosciuto solo 300mila lire di mantenimento, costringendola, ormai sessantacinquenne, a trovare un altro modo per sopravvivere. «Quando mi ha ringraziata perché senza di me non avrebbe avuto il coraggio di separarsi – racconta – mi ha fatto capire che non sempre la risposta si trova davanti a un giudice. Con questo non voglio dire che non si debba denunciare, ma che a volte le donne fanno anche altri percorsi e io mi sono abituata ad accettarli». All’inizio Ulivi pensava che la legge potesse cambiare le cose, «e in parte – dice – è stato così, ma adesso so anche che la sensibilità di un magistrato e delle persone in generale cambia il modo di intervenire sul tema».

Manuela Ulivi si definisce una «rompiscatole consapevole», prendendo spunto dalla descrizione che la femminista catanese Grazia Giurato fa di sé nel libro autobiografico Ancora ci credo, che le ha regalato per accoglierla. «E i magistrati di Milano lo sanno bene», aggiunge Ulivi, facendo riferimento alle lotte che porta avanti per abbattere le resistenze dei giudici ad applicare la legge nei casi di violenza sulle donne. A darle ragione anche il magistrato della Procura etnea Marisa Acagnino, presente in sala: «La scarsa sensibilità di noi magistrati su questo problema è frutto della cultura del nostro Paese», afferma. «Adesso la legge permette al giudice di allontanare dal domicilio il marito, il compagno, il padre violento, mettendo il diritto della donna sopra quello di proprietà o di libertà dell’uomo, ma i magistrati mostrano una certa resistenza ad applicare questa legge – spiega il giudice – I provvedimenti di questo tipo sono ancora pochi e poche sono le istanze. È un cane che si morde la coda. Anche l’addebito nelle separazioni – aggiunge – è riconosciuto solo se ci sono prove evidenti di violenza, ma la svalutazione della donna, lo sfruttamento, l’insulto, che sono anche i casi più frequenti, sono difficili da provare».

L’avvocata e le sue colleghe portano avanti diversi progetti per sostenere le donne maltrattate, come quello sulla sicurezza, che permette di valutare il rischio di tornare a casa. «Le donne che subiscono violenza pensano di poterla gestire, ma è una sensazione di onnipotenza che può portare a situazioni di pericolo», spiega Ulivi. È attivo anche un progetto per le giovanissime, perché «se un minore denuncia abusi in famiglia si attiva tutto, se la denuncia arriva dopo i 18 anni non succede nulla e anzi spesso sono emarginate dagli stessi famigliari». Inoltre, le socie della Casa si occupano anche di formare le operatrici dei centri di ascolto, negli ultimi anni sempre più in aumento: «Aprite gli sportelli, ma fatelo bene», raccomanda l’avvocato.

«Finalmente si parla di maltrattamento ed il fenomeno è all’attenzione di tutti. Anche se a volte è usato per farsi pubblicità e fare carriera», denuncia il legale milanese, che confessa di essere «stufa dell’antiviolenza commerciale, quella delle campagne pubblicitarie alla Yamamay». «Ci vanno tutti a nozze – insiste – perché è un argomento che paga e attira, poi noi facciamo il lavoro sporco. Ma non siamo crocerossine, noi mettiamo la donna al centro e attorno a lei tutti quelli che possono dare una mano». E Ulivi ne è sicura: «Uscire dalla violenza si può, raccontando tutto a un’altra donna che non si conosce, in anonimato, segretezza e libertà». Grazie a quella che chiama la «pratica di relazione tra donne». «La stessa che mi ha cambiato la vita, anche nel modo di fare la mia professione», dice.


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