«Basta morti e basta sfruttamento dei lavoratori migranti». È questo lo striscione che accompagnerà la «giornata di lotta» che è stata organizzata per oggi dall’Unione sindacale di base di Ragusa. Una provincia profondamente segnata dalla fascia trasformata dove, con l’avvento delle serre, la produzione delle colture è stata slegata dalle stagione e dove le irregolarità nelle aziende agricole sembrano diventate la norma. La stessa provincia da cui, ormai più di due anni fa, si sono perse le tracce di Daouda Diane, il 37enne mediatore culturale originario della Costa d’Avorio e da anni residente ad Acate che lavorava (senza contratto) nel cementificio Sgv Calcestruzzi Srl. Una delle ipotesi da cui è partita l’inchiesta per omicidio e occultamento di cadavere è proprio che sia stato ucciso per le sue rivendicazioni sui diritti negati ai lavoratori.
«Imprenditori senza scrupoli – lamentano dall’Usb di Ragusa – continuano a sfruttare gli uomini e le donne, migranti e non. Le nostre denunce non si contano più e le irregolarità nelle aziende sono oramai pure certificate: oltre il 70 per cento di quelle controllate – riferiscono dal sindacato – risultano non in regola sotto vari punti di vista. Di fronte a questi numeri e alle condizioni lavorative indecenti, è inaccettabile che le istituzioni restino distratte». Ed è proprio nell’intento di renderle più attente che dall’Usb iblea hanno organizzato una giornata di manifestazioni. Si comincia la mattina alle 8.30 davanti alla questura di Ragusa, dove il sit-in resterà fino alle 10.30 per spostarsi poi in piazza San Giovanni, davanti al tribunale, fino alle 13. «Un primo momento, davanti alla questura – spiegano dal sindacato – per chiedere il permesso di soggiorno per tutti e tutte, l’abolizione della legge Bossi-Fini e maggiori risorse da destinare all’ufficio immigrazione per evitare inutili lungaggini». Un secondo sit-it è stato poi pensato davanti al tribunale per «continuare a chiedere verità e giustizia per Daouda Diane e per assicurarci che le indagini non vengano archiviate».
Una vicenda particolare e una generale, strettamente collegate tra loro. «Prima di scomparire, Daouda aveva girato quel drammatico video – ribadiscono dall’Usb – in cui denunciava le condizioni di lavoro a cui era costretto». Identiche a quelle di altre centinaia di lavoratori, specie migranti, del territorio del Ragusano. Alcuni di questi lui stesso aveva provato ad aiutarli per la traduzione di documenti, per il rinnovo dei permessi di soggiorno, per iscriversi a scuola e per prendere consapevolezza dei propri diritti di lavoratori. «Le istituzioni continuano a gestire la situazione del lavoro dei migranti come fosse un’emergenza o una questione di ordine pubblico. A tutto questo – continuano dal sindacato – si aggiunge la scandalosa legislazione italiana che rende più vulnerabili e, quindi, più ricattabili i migranti». Una legge (la Bossi-Fini) che prevede la necessità di un contratto di lavoro per la regolarizzazione «è ricattatoria perché – concludono dall’Usb – obbliga gli stranieri ad accettare condizioni lavorative altrimenti inaccettabili».
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