Stiracchiando una frase che il compianto professore Compagnino era uso dire a lezione, “bisognerebbe leggere i testi filosofici come romanzi e i romanzi come testi filosofici”, io vorrei spingermi nell’ardito compito di trattare il personaggio di una celebre serie di romanzi come un vero e proprio soggetto filosofico.
Il personaggio in questione è Benjamin Malaussène, protagonista di una fortunata serie di romanzi del professore francese Daniel Pennac.
Benjamin è il fratello maggiore di una numerosa famiglia senza fissi genitori, se non una madre perennemente innamorata degli uomini sbagliati, presente in famiglia solamente nei periodi di gestazione. La professione di Benjamin caratterizza la storia e lo spessore filosofico del personaggio in questione. Il signor Malaussène di professione fa il capro espiatorio. In un periodo in cui pare regnare una certa confusione sul significato di questa locuzione (vedi l’uso improprio che ne fa il signor Moggi), un uomo che esercita la professione di capro espiatorio è qualcosa di estremamente rilevante, da qui l’interesse per lo specifico filosofico del suddetto personaggio.
La mia analisi si basa sulla lettura dei primi tre romanzi della serie: “Il paradiso degli orchi”, “La fata carabina” e “La prosivendola”. Il nostro protagonista non fa il capro espiatorio, lui è un capro espiatorio. Nei tre romanzi viene di volta in volta coinvolto nei crimini efferati che sono al centro dell’azione narrativa e il lettore, che già sa dell’innocenza del proprio beniamino, segue le vicende con la curiosità di chi vuole capire come il nostro eroe si caverà dall’impiccio. Il Malaussène fin qui dipinto, in questa sua veste di vittima per destino sembrerebbe appartenere alla categoria dei filosofi stoici, nell’accezione che comunemente si dà a questa corrente di pensiero. Ma Benjamin è qualcosa di più: innanzitutto sembrerebbe uno scettico pirroniano, che rifiuta il mondo esterno alla sua realtà familiare come un mondo inesistente e privo di significato. Il mondo è Belleville, tutto il resto è perturbazione dell’atarassia. Ma appena uno si convince della sua fondamentale scelta dell’indifferenza, si accorge che un errore più grossolano non lo si può commettere. Malaussène ama troppo per essere indifferente, tanto che possiamo rintracciare tutte le tipologie dell’amore attraverso i suoi occhi.
Amore della famiglia: Benjamin ama i suoi fratelli, ma riesce a dare diverse sfaccettature a questo amore, amando Clara quasi con passione e gelosia, Therese con paterna comprensione, Jeremy con il timore per le sue intemperanze, il Piccolo con la dovuta riverenza per la prodigiosa intelligenza. Amore per l’altro sesso: ama la sua Julie Corrençon, con passione e passività, teme sempre di essere abbandonato, ma si abbandona senza riserve alle morbidezze della bella giornalista. Amore per Belleville , il suo quartiere, la sua città nella città, la sua gente dotata di un’umanità indipendente dalla moralità della professione che esercita per tirare avanti. Ma quella che è la caratteristica più peculiare del personaggio è il suo aspetto. Noi non lo conosciamo ma sappiamo che è la faccia su cui puoi dipingere tutto, è l’innocenza fraintesa, è la colpa che verrà perdonata. Lui racconta la propria vita da questa personale prospettiva di vittima consapevole, di uomo che fa della colpa altrui un sistema per sopravvivere, che sa di avere il potere di sembrare impotente, e la capacità di persuadere tutti di qualunque cosa senza doversi sforzare più di tanto, rimanendo se stesso, e interpretando la vita a suo piacimento.
Benjamin non appartiene ad un movimento filosofico, ma è filosofo come lo erano i presocratici, vive filosoficamente e possibilmente ha una sua idea sull’origine del mondo, su chi lo protegge, su chi ne regge le sorti. L’uomo filosofo Benjamin Malaussène è più reale dei filosofi in carne e ossa, si fa portatore di valori apparentemente immorali, che però nella realtà rimandano all’importanza della socialità, della vita in un sistema che protegge con forza tutti quelli che vi appartengono, che non si chiude però all’integrazione di nuovi e sconosciuti personaggi. Alla fine possiamo definire Malaussène un umanista nel senso più proprio del termine, perchè rimane sincero pur vivendo nella menzogna per professione, perchè è uomo anche quando sembrerebbe ingranaggio di un sistema inesorabile nel frustrare ogni tipo di umanità. Forse non sono riuscito a far quadrare le mie conclusioni con la premessa di questo breve e incauto saggio, ma a mia giustificazione posso dire, con assoluta certezza, che la colpa è di Benjamin Malaussène, e di chi se no?

Gianni Raniolo

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