Mailgate, indagato il rettore Recca L’accusa: «Promesse in cambio di bugie»

Rivelazione e uso di segreti d’ufficio. Violazione della privacy. Promesse in cambio di false dichiarazioni ai magistrati. Sono le accuse rivolte dai magistrati della procura di Catania al magnifico rettore dell’università etnea Antonino Recca. Che, proprio oggi, ha annunciato le sue dimissioni irrevocabili a partire dall’11 marzo. Il fascicolo in cui Recca figura come indagato riguarda lo scandalo Mailgate: il caso delle email elettorali inviate dai server dell’ateneo agli indirizzi riservati di studenti e docenti Unict dal figlio di una candidata Udc alle elezioni regionali siciliane. Stesso partito di cui il rettore è stato coordinatore regionale. E non solo. Il padre del ragazzo e marito della candidata figurava già ai tempi del caso, settembre 2012, nello staff del Magnifico.

Delle indagini partite subito dopo lo scandalo poco si è saputo finora. Una visita della polizia postale negli uffici tecnici del rettorato e l’ipotesi di violazione della privacy a carico della candidata Udc Maria Elena Grassi, del marito Nino Di Maria e del figlio Daniele, dal cui indirizzo di posta elettronica sono partite le email elettorali. In quei giorni erano in tanti a chiedersi come potesse essere escluso un coinvolgimento tutto interno agli alti livelli del rettorato, considerata la difficoltà tecnica per uno studente qualunque di accedere a un indirizzario riservato. «Una ragazzata, che ha dato il via a una smisurata enfasi mediatica caratterizzata da un’ostilità cavalcata da alcune parti politiche», allontanava da se stesso ogni veleno Antonino Recca nei giorni successivi al caso. «I dati sensibili degli studenti non risultano essere stati mai violati e sono rigorosamente protetti presso i server dell’Università – aggiungeva il direttore generale Lucio Maggio – Al fine di non produrre inopportune interferenze, l’Università si asterrà da ulteriori indagini interne, restando in fiduciosa attesa degli esiti delle investigazioni svolte dagli organi competenti».

E la procura, al contrario dell’università, non è affatto convinta che la colpa sia solo della famiglia Di Maria. Tanto che ha iscritto nel registro degli indagati non solo chi, tra i tecnici della divisione informatica dell’ateneo, avrebbe materialmente aiutato Daniele Di Maria a inviare le email elettorali, ma anche lo stesso rettore. Che, secondo l’ipotesi dei magistrati, avrebbe potuto dare origine all’intero caso. Tre le accuse che potrebbero venire contestate in un’aula giudiziaria. La prima è rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio. Reato che riguarda chi «abusando della sua qualità, rivela notizie d’ufficio, le quali debbono rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza». Nel caso specifico, concorrendo all’invio di mail di propaganda elettorale a studenti e docenti iscritti alla mailing list interna dell’università. Attraverso i server d’ateneo e un indirizzo – che ha poi rimbalzato il messaggio a tutti gli altri – che solo in rettorato potevano conoscere.

A questo si aggiunge anche per Recca la violazione della privacy. Per aver trattato, fuori dalle funzioni istituzionali, i dati personali degli studenti. Aggravante, per i magistrati, è l’«aver commesso il fatto con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio». Come quella del rettore dell’università di Catania, appunto. Al Magnifico dimissionario, infine, viene contestato di aver tentato di indurre il suo collaboratore e marito della candidata Nino Di Maria a mentire all’autorità giudiziaria. Promettendo una facile via d’uscita: scaricare la colpa sul figlio Daniele. Su questa terza accusa sembra non abbia giocato a favore di Recca la decisione, poche settimane dopo il caso, di promuovere Di Maria: da membro dello staff del rettore a direttore del Cinap, il centro che si occupa dell’accessibilità delle strutture e dei servizi agli studenti diversamente abili.


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