Outsider con codino e una grande passione per il Web: così si presenta Carmelo Strano, docente di Architettura, terzo candidato alla poltrona di Rettore dellUniversità di Catania che Step1 ha incontrato
Magnifici candidati / Carmelo Strano: “LAteneo deve sapersi vendere!”
Il prof. Carmelo Strano, ordinario “per chiara fama” di Estetica, è convinto che il web e “la vendita” siano punti essenziali per la vita di un Ateneo: il marketing delle idee e dei massimi sistemi, la piazza globale di internet, in cui tutti sanno, vedono e commentano qualsiasi cosa. “Qualcuno mi dà dell’idealista”, ci racconta. Mentre ricorda questa o quella collaborazione in giro per il mondo, passando dalla Biblioteca Alessandrina (o la Biblioteca d’Alessandria?), per approdare a San Diego, attraversando a volo d’uccello Germania e Francia. Con una certa dose di autoironia ha ammiccato al suo codino come ad un elemento importante del suo programma: chissà che il segreto non sia tutto lì.
Che voto darebbe, da 18 a 30, al Rettore attualmente in carica?
«Il voto sarebbe positivo: la gestione Recca è attenta dal punto di vista dei numeri. Il problema è che la logica della buona routine non basta».
Nel suo programma, lei ha posto in primo piano la “naturale attitudine” degli studenti al web e ha dichiarato che, proprio grazie al web, “professori e studenti intensificano il dialogo”. I forum studenteschi, già adesso, sono molto attivi e, talvolta, contano l’intervento dei docenti. Perché la sua proposta è innovativa?
«E’ innovativa perché giudica una condizione necessaria il ribaltamento del rapporto docenti-discenti, giacché ci siamo abituati allo studente-spugna, che va sostituito con lo studente-web, ossia lo studente che non è soltanto impegnato librescamente nello studio ma che è impegnato anche nella rete dello studio. Diventerebbe un contributo non soltanto alla didattica ma anche alla ricerca. Attraverso il ribaltamento che propongo, il docente ha la possibilità di entrare nella mentalità di chi lo segue, nei suoi processi mentali e sociali, diversi da quelli a cui è abituato, e che sono la premessa indispensabile per guardare avanti».
Lei ha sostenuto, non senza ironia, che per guidare l’Ateneo non basta essere bravi amministratori. Ma che pensa della politica dei tagli nei confronti delle università? E come affronterebbe le innegabili ristrettezze di bilancio?
«Invocare l’assistenzialismo statale è anacronistico. Non già per la natura e il colore del Governo in carica ma per il fatto che nessun governo è in grado di sostenere pienamente le spese necessarie per l’aggiornamento degli atenei. Gli atenei dovrebbero essere pubblici e privati nello stesso tempo: fondi erogati dallo Stato affiancati dalla capacità dei singoli atenei di vendere il proprio prodotto, che sono le eccellenze soprattutto nell’ambito della ricerca, rendendole appetibili alla piazza internazionale».
Si è fatto un’opinione sul movimento degli studenti dell’Onda? Come Rettore che atteggiamento avrebbe avuto nei loro confronti?
«Tutto ciò che viene dallo studente lo ritengo degno di attenzione e fonte di provocazione costruttiva. Eventuali eccessi, qualora ci fossero, anche questi sono da prendere con il massimo interesse. Penso che lo studente sia una sorta di sismografo…».
I precari della ricerca dell’Ateneo si sono recentemente organizzati in un coordinamento e chiedono maggiore apertura ai giovani ricercatori. Ma non votano. Come si pone nei loro riguardi?
«I precari sono il futuro dell’Ateneo. Se devo impegnare la mente per come impegnare l’Università di Catania, per come lanciarla nel mondo, non posso non tener conto delle forze dei ricercatori. Il loro problema va risolto, in che modo? Ci sono i soldi di mezzo, c’è poco da fare. Non è una volontà politica, bensì una questione prettamente economica».
Cosa pensa dell’attuale meccanismo di reclutamento dei docenti universitari?
«E’ un problema spinoso, ma non tecnico. Bisogna cambiare, di volta in volta, mentalità: un sistema può valere l’altro. Certo, quello attuale è macchinoso, pretestuoso. La soluzione è semplificare al massimo, trovare modi che pongano in evidenza la meritocrazia. Negli altri atenei europei, il reclutamento è basato su una valutazione oggettiva e totale. La consuetudine baronale, in Italia, va smantellata. Però, non ho un’idea precisa su cosa si possa fare».
Nel suo programma si legge che intende ripristinare la triennalità della carica di Rettore. Perché quella del prof. Recca è stata una scelta sbagliata?
«Tempi di grande dinamismo, tempi di sistemi complessi, tempi di aggiornamento continuo: questi sono quelli in cui viviamo oggi. Credo che tre anni possano essere pochi, ma anche sufficienti: un programma può essere attuato, e se è a lunga scadenza può essere avviato. Con un po’ di protagonismo in meno, si riesce anche ad accettare che chi firma tale programma non sia quello che ne inaugura i frutti. Dev’essere l’Ateneo, del resto, a goderne».
Cito testualmente: “una testata virtuale e anche cartacea può costituire una vetrina internazionale per ciascuna Facoltà”. E ancora: “si rende necessaria, anche via web, una testata che parli, proponga e promuova le specificità dell’Ateneo, con interventi e saggi di carattere generale su problematiche di largo raggio che toccano la ricerca, la società, la crisi, lo studio”, il tutto oltre al Bollettino d’Ateneo. Il ruolo dell’informazione universitaria quale dev’essere?
«Informazione e promozione devono andare di pari passo. Sono necessarie, eppure ne rilevo una certa carenza all’interno dell’Ateneo. Sulla promozione… Cosa dovremmo promuovere se non c’è nulla?».
E’ stato lei stesso a sottolineare più volte che la sua chiamata diretta “per chiara fama” è stata finora l’unico caso italiano in campo umanistico. Come mai? Senza entrare nel merito di tale giudizio, a cosa attribuisce il doppio parere negativo nei confronti della sua chiamata espresso dal CUN (Consiglio Universitario Nazionale)?
«Cosa ben prevedibile. Il sistema universitario italiano non è meritocratico bensì basato sul controllo dei posti: un elemento estraneo, quale potevo essere io, è da respingere immediatamente. A questo, aggiungo anche una cosa un po’ più tecnica. Ad esprimere i pareri, nel CUN, è una supposta collegialità: i referenti di area studiano, semmai lo facciano, la situazione e quando la sottopongono al collegio, dopo essere arrivati alle loro conclusioni, la cosa va avanti automaticamente. Nel caso specifico, fra i tre membri della commissione d’area, nessuno poteva giudicare la mia competenza, perché relativa ad ambiti che non li riguardavano neanche. Il sistema baronale agisce pure in questa maniera».
Il rettore ha anche il compito di rappresentare l’ateneo nei confronti delle altre istituzioni presenti nel territorio. Un rettore, secondo lei, deve fare politica? E come?
«Politica vuol dire anche “mediare”, difficilmente abbiamo a che fare con un politico che abbia un atteggiamento ostico verso la gente, e un Rettore non può avere atteggiamenti ostici. In questo senso, il Rettore deve essere politico, ma non deve soggiacere alla politica esterna».
Il suo programma ha punti in comune con quelli degli altri candidati?
«Direi proprio di no. Gli altri insistono sui problemi quotidiani: quelli li conosciamo tutti. Se qualcosa di importante si può fare per l’Ateneo sono disponibile giorno e notte, se, invece, mi si dice di occuparmi soltanto del gabinetto che s’è rotto… questo lo lascio ad altri. Ad ogni modo, non intendo dire che le incombenze immediate sono trascurabili».
Lei insegna Estetica. Se non facesse parte del corpo docente della Facoltà di Architettura, dove le piacerebbe insegnare?
«In dodici facoltà. Mi piacerebbe insegnare ovunque. Sono uno dei protagonisti dello svecchiamento dell’Estetica a livello mondiale, l’ho trasformata in qualcosa di pratico. Essa informa, e forma, ogni aspetto della vita quotidiana. Potrei esserne docente in qualsiasi facoltà».
Che idea s’è fatto della preparazione degli studenti del nostro Ateneo?
«Non la trovo entusiasmante. Catania è eccellente, come sempre è stata, dal punto di vista delle potenzialità intellettive e creative, ma ferma all’Ottocento dal punto di vista della formazione».
Quali tratti distinguono il suo “studente ideale”?
«L’attività e l’interattività. E, soprattutto, la criticità».