La misura di prevenzione, eseguita dalla Guardia di finanza su proposta del procuratore aggiunto Bernardo Petralia e del sostituto procuratore Calogero Ferrara, è a carico di Francesco Paolo Maniscalco, più volte arrestato in passato
Mafia, sequestrati beni per quindici milioni Sigilli a otto aziende, c’è il bar San Domenico
Beni per un ammontare che si aggira intorno ai quindici milioni di euro sono stati sequestrati a Francesco Paolo Maniscalco, più volte arrestato e inquisito per mafia, figlio di Salvatore, storico appartenente alla famiglia mafiosa di Corso dei Mille. Il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo ha posto i sigilli a otto aziende e diversi immobili e autovetture, oltre a decine di rapporti finanziari. Il sequestro è stato disposto dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale, su proposta del procuratore aggiunto Bernardo Petralia e del sostituto procuratore Calogero Ferrara. Tra le aziende sequestrate spicca, per valore economico e simbolico, il bar San Domenico, nell’omonima piazza davanti alla chiesa del Pantheon degli eroi, che ospita, da meno di un anno, le spoglie del giudice Giovanni Falcone. Ma sono stati posti i sigilli anche ad altre note attività, come la palestra Body Club di via Dante, oltre ad aziende operanti nel settore dolciario e della torrefazione del caffè.
Francesco Paolo Maniscalco fu arrestato nella notte di Natale del 1993 nel corso dell’operazione Angelo due che portò alla scoperta di una organizzazione dedita al traffico internazionale di stupefacenti sull’asse Colombia-Gran Bretagna-Italia, in collegamento con i cartelli di Calì e della Valle del Cauca, in Colombia. Nel 2000 era finito di nuovo in carcere, insieme ad altri esponenti di vertice del mandamento mafioso Porta Nuova, per aver organizzato un colpo da venti miliardi di lire all’Ufficio di Crediti su Pegno della Sicilcassa che risaliva al 1989. Nel giugno del 2002, infine, era stato arrestato con l’accusa di associazione mafiosa in relazione ai suoi rapporti con Giuseppe Salvatore Riina, figlio del capo di Cosa Nostra Totò. Già nel 2012 i finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria di Palermo avevano indagato sui suoi interessi economici, portando alla luce una galassia di società a lui riconducibili, ma intestate fittiziamente a terzi.