Mafia, protocollo di legalità ha valore retroattivo Antoci: «Tra poco varrà anche sui terreni privati»

«Questa sentenza darà vita a uno tsunami». Evoca l’immagine di un’enorme ondata il presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, per spiegare i possibili scenari futuri nel contrasto alla criminalità organizzata e, in particolare modo, agli affari economici che le mafie fanno in tutta Italia sfruttando i terreni adibiti a pascolo. Ettari che in questi anni si sono trasformati in miniere d’oro grazie alla capacità dei clan di attirare i fondi comunitari dedicati all’agricoltura. Con i finanziamenti che in molti casi sarebbero stati ottenuti attraverso società intestate a prestanome o, ancora più semplicemente, tramite autocertificazioni con le quali il richiedente affermava la propria estraneità al contesto mafioso.

Adesso però la musica sembra in procinto di cambiare o perlomeno questa è la convinzione di Antoci. Scampato a un attentato a maggio dello scorso anno, per il quale di recente la procura di Messina ha disposto l’esame del dna per 14 sospettati, il presidente del Parco fonda il proprio ottimismo sue due elementi. Da una parte l’avanzamento dell’iter in Parlamento per la modifica del codice antimafia, che adotterà su tutto il territorio nazionale il protocollo di legalità firmato a marzo 2015 e che prevede l’obbligo di chiedere le certificazioni antimafia per qualsiasi ente che stipula concessioni di terreni demaniali, eliminando la soglia dei 150mila euro di canone sotto la quale bastava l’autocertificazione, e dall’altro una sentenza del Consiglio di Stato che l’anno scorso ha ratificato la legittimità dell’applicazione dell’interdittiva antimafia anche a contratti già in essere. In altre parole, l’effetto retroattivo su cui in molti puntavano per stringere in una morsa gli affari dei clan.

«Siamo vicini alla chiusura del cerchio – commenta Antoci -. La modifica al codice antimafia oltre a estendere a tutte le regioni le novità introdotte con il protocollo, amplierà ulteriormente il raggio d’azione. Le certificazioni, infatti, dovranno essere presentate per tutti i  terreni che beneficiano di fondi pubblici. Quindi – specifica il presidente del Parco dei Nebrodi – non solo per le concessioni demaniali ma anche per i terreni privati». Su questi ultimi si sarebbero concentrati i clan dopo le prime revoche sui pascoli demaniali. Il meccanismo – emerso in alcune indagini come quella che ha colpito il clan attivo a Cesarò e che avrebbe avuto nel macellaio Giovanni Pruiti la propria guida – sarebbe stato quello di puntare a ottenere, o se il caso lo richiedeva estorcere, affitti agevolati dai proprietari per poi specularci. «Il giochetto di vessare la povera gente adesso finirà», esulta Antoci.

Come detto, però, il risultato più importante arriva dal pronunciamento che la terza sezione del Consiglio di Stato ha emesso in materia di interdittiva antimafia. Trattando un ricorso presentato dalla prefettura di Reggio Calabria, in merito alla revoca di un provvedimento restrittivo nei confronti di un’impresa, i giudici hanno dichiarato che «a prescindere dalla legittimità della richiesta d’informazione antimafia, il contenuto interdittivo della stessa vale a precludere la nascita di un rapporto contrattuale tra la stazione appaltante e i soggetti coinvolti dall’informativa o, ancora, a paralizzare le sorti di un rapporto già sorto tra le parti». Il Consiglio, nel testo della sentenza, chiarisce ogni dubbio sui poteri degli enti pubblici: «Potendosi sempre accertare se l’impresa meriti la “fiducia delle Istituzioni” – si legge – si può attivare il procedimento volto alla verifica della sussistenza o meno del tentativo di infiltrazione della criminalità organizzata».

A meno dunque di clamorose sorprese in Parlamento – a riguardo il presidente del Parco assicura che «anche se non ne capisco di calcio, posso dire di avere marcato a uomo il legislatore» – nei prossimi mesi si potrebbe assistere a una pioggia di procedimenti atti a chiudere i rubinetti di tantissime imprese in odor di mafia. «È un giro miliardario, si apre un capitolo che durerà anni e io farò in modo di vigilare sui sequestri che dovranno essere fatti. Lo devo a me stesso e – conclude Antoci – a tutte le persone per bene che in questi anni mi sono state vicine». 


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Una sentenza del Consiglio di Stato afferma che le interdittive antimafia possono essere usate per «paralizzare le sorti di un rapporto già sorto». Nel frattempo in Parlamento è in dirittura d'arrivo la modifica al codice antimafia che estenderà a tutta Italia il documento voluto dal presidente del Parco dei Nebrodi 

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