«Dottoressa, certo che lo conosco, voleva essere inserito nel giro dei trasporti agroalimentari dal mercato di Gela verso il nord Italia». Mentre riecheggiano le parole del pentito Carmelo Barbieri alla magistrata Agata Santonocito, l’aula Famà del tribunale di Catania è soffocata da una cappa di caldo. Enzo Ercolano ascolta le accuse che gli vengono mosse da dietro le sbarre. All’interno di due piccole gabbie ci sono anche altri imputati del processo Caronte, nato da un’inchiesta della procura di Catania su mafia, imprenditoria e politica e che ha portato agli arresti di novembre 2014. In quel momento, il presunto boss è considerato dai magistrati «il principale esponente» della famiglia di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano.
Conosciuto come u prufissuri, in virtù del suo passato da insegnante di educazione fisica, Barbieri parla con i magistrati dal 2009. Un insospettabile prestato a Cosa nostra che ha scalato le gerarchie della famiglia mafiosa di Gela in poco più di dieci anni. «Nel 1995 ero sotto Gino Ilardo, poi c’era Daniele Emmanuello e con la sua morte, nonostante la confusione, si faceva riferimento alla mia persona». Il collaboratore di giustizia avrebbe conosciuto Enzo Ercolano – figlio del defunto boss Pippo e fratello di Aldo, killer del giornalista Giuseppe Fava – grazie a Giuseppe Lombardo, cognato di Piddu Madonia. Un faccia a faccia a tre che sarebbe avvenuto nel 1998 in un bar nei pressi degli uffici della ditta di trasporti di Ercolano, «tra il porto e la stazione di Catania». «Sapendo del mio ruolo e del fatto che potevo essere convincente per qualcuno – precisa Barbieri – voleva essere inserito nel giro dei trasporti a Gela tramite le cooperative».
Enzo sapeva che potevo essere convincente per qualcuno
Mentre il pentito rimette insieme i ricordi, Ercolano lo ascolta seduto. Scattando in piedi soltanto quando prende la parola il suo legale Francesco Antille. L’incontro in questione sarebbe durato «circa trenta minuti – precisa Barbieri – perché aveva sua mamma che lo aspettava in macchina e dovevano andare via». Dalle parole però non si sarebbe passati ai fatti perché, da lì a breve, il boss gelese finisce in manette. I discorsi e le ambizioni del giovane Ercolano però non si sarebbero interrotti, spostandosi dal cuore della Sicilia al territorio etneo di Paternò.
Nel penitenziario abruzzese di Teramo, Barbieri diventa compagno di cella di Salvatore Rapisarda, figlio di una dinastia ritenuta ai vertici del clan mafioso locale dei Morabito-Rapisarda, alleati dei Laudani. «Su Enzo era nata una storia che poi abbiamo affrontato con altri catanesi. Durante i colloqui, Turi Rapisarda aveva saputo che voleva inserirsi in quel territorio per il trasporto delle arance». A dare carta bianca al figlio di Pippo Ercolano sarebbe stato direttamente il clan della famiglia Assinnata, vicina ai Santapaola-Ercolano. Al summit in carcere avrebbe partecipato lo stesso patriarca mafioso etneo Pippo Ercolano con accanto Matteo Mazzei e Rapisarda. «Volevamo trovare una soluzione, ma non so com’è finita – conclude Barbieri – Perché, pian piano, siamo stati tutti spostati da quel carcere».
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